lunedì 7 settembre 2015

Wilhelm Von Gloeden. La perfezione statuaria della gens di Taormina

Ritratto di Wilhelm Von Gloeden nel 1891
Sulla scia dei fotografi che ho trovato interessanti nella lettura del catalogo della Collezione Gruber del Ludwig Museum di Colonia (il Taschen Fotografia del XX secolo), ha destato particolarmente curiosità in me, un fotografo tedesco di nobili origini, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, conosciuto soprattutto per la sua vocazione al nudo maschile e per la fortuna e allo stesso tempo disgrazia critica che hanno riguardato i suoi scatti nel corso del tempo.

Il fotografo in questione è Wilhelm Von Gloeden, il cui vissuto è strettamente correlato al suo percorso artistico, avendo questo abitato in Italia, per la precisione a Taormina, per quasi tutta la sua vita: un luogo fortunato per l’artista perché perfetto per le ambientazioni storiche delle sue fotografie nonché dal punto di vista antropologico per la tipologia dei modelli adoperati nei suoi scatti.

Nato a Wismar, nell’estremo nord della Germania, il 16 settembre 1856, figlio di nobili del luogo, il giovane Wilhelm crebbe sin da subito seguendo i precetti che confacevano ad un esponente della nobiltà tedesca, tanto da laurearsi in Storia dell’Arte presso l’Università di Rostock, per poi specializzarsi in pittura presso la scuola d’arte di Weimar nel 1877. Un nuovo interesse, quello per la storia dell’arte e per la pittura, che sicuramente si andava attecchendo già da qualche decennio addietro, alimentato dalle sempre più nuove scoperte in campo archeologico e dagli studi più dettagliati verso le personalità artistiche dei secoli addietro.

Quindi anche Von Gloeden si dedicò al mondo storico artistico dal punto di vista formativo, un mondo che non abbandonò mai anche quando, in seguito al suo trasferimento a Taormina per motivi di salute – probabilmente una forma atipica di tubercolosi, - a partire dal 1878 decise di dedicare le sue attenzioni alla fotografia, inizialmente vedendolo come un passatempo (non pochi nobili se ne interessarono in quel periodo, d’altronde le macchine fotografiche non erano accessibili a tutti dato il costo elevato del marchingegno), poi addirittura facendolo diventare la sua prima fonte redditizia.

W. Von Gloeden, San Giovanni degli Eremiti,
1890, fotografia, Palermo
W. Von Gloeden, Sopravvissuti al terremoto
di Messina, 1908, Messina

W. Von Gloeden, Fauno, 1895, fotografia, Taormina
D’altronde ne fu costretto, vedendosi annullato il vitalizio che puntualmente suo padre gli inviava poiché caduto in disgrazia. Eppure questa necessità impellente di trasformare il passatempo in professione effettiva fu la sua fortuna perché, a partire dal 1895, grazie alla macchina fotografica a soffietto regalatogli dal Granduca Federico Francesco III di Mecklenburg – Schwerin, amico di famiglia e grande ammiratore dei suoi scatti, poté scattare con ritmi più celeri i suoi soggetti e perfezionare la qualità delle sue immagini.

Fu quindi proprio nei primi anni ’90 del XIX secolo che Von Gloeden si vide riconosciuto dal mondo quale grande fotografo: i suoi scatti furono esposti tra il 1897 e il 1911 a Il Cairo, Berlino, Philadelphia, Budapest, Marsiglia, Nizza, Riga, Dresda e Roma, attirando la stima e l’ammirazione di studiosi, letterati e personalità di spicco dell’epoca, che solevano vedere nelle sue fotografie, il ritorno arcadico a quel mondo meraviglioso ed incontaminato vissuto nell’epoca d’oro delle civiltà classiche.

W. Von Gloeden, danzatori sulla terrazza di Taormina,
1895 ca, fotografia, Taormina
W. Von Gloeden, Bacco, 1890,
fotografia, Taormina

W. Von Gloeden, Ragazzo con giara,
 1895, fotografia, Taormina.
Un sotterfugio che il fotografo tedesco effettivamente adoperò per tutelare e meglio nascondere l’insito omoerotismo dei suoi scatti, che immortalavano il più delle volte ragazzetti in età puberale e adolescenti taorminesi in pose composte piuttosto che lascive, completamente nudi.
A meglio celare la natura di questi scatti infatti, ci pensavano monumenti, ruderi e oggetti che permettevano un rimando all’età classica, come colonne, murature in mattoni, anfore, calzari, toghe e vitigni.

Fu per questo che Von Gloeden riuscì per molto tempo a quietare le invettive bigotte e moraliste tipiche di un paesello siciliano agli inizi del secolo, alimentate soprattutto dal parroco Don Marziani: all’atto pratico i suoi scatti volevano essere un tributo alla gens di Turomenion – l’antica Taormina – di cui si diceva che i suoi discendenti sarebbero stati sempre fisicamente bellissimi e perfetti. Con la sua fotografia effettivamente lui dimostrava esattamente questo, scoprendo i suoi modelli maschili di ogni inutile orpello e lasciandoli nudi nella perfezione della loro muscolatura.


W. Von Gloeden, Le tre grazie, 1895,
 fotografia, Taormina
W. Von Gloeden, Ragazzo con giara, 
1898, fotografia, Taormina.

W. Von Gloeden, Ragazzo con palma,
1926, fotografia, Taormina
Un tributo a Omero e a Teocrito quindi, strettamente legati al territorio siracusano, che non può essere tale se i modelli non fossero totalmente spogliati della contemporaneità dei loro usi e costumi e grecizzati attraverso la nudità (gli sportivi gareggiavano nudi per esempio e la nudità in sé non era un grande tabù). Un tributo falsificato però dal fine ultimo di quegli scatti sviluppati in serie per adempiere alle voglie dei committenti provenienti da tutta Europa, desiderosi di possedere qualche fotografia degli statuari pastori e pescatori siciliani.

Un business che non solo arricchì in qualche modo il fotografo tedesco, ma dette nuovo lustro al paesello bucolico siciliano, meta “sessuale” di personalità di spicco della letteratura, dell’arte nonché dell’economia e dell’industria mondiale: tra i tanti curiosi che visitarono Taormina in quegli anni, configurano infatti Oscar Wilde, - che mai fece segreto della sua omosessualità – la grande attrice Eleonora Duse con il suo compagno Gabriele D’Annunzio, i magnati Friedrich Krupp e Richard Strauss, persino il re d’Inghilterra Edoardo VII, come si evince dai libri dei visitatori della casa di Von Gloeden.

W. Von Gloeden, Ragazzo col piffero,
 1890, fotografia, Taormina. 
Dal punto di vista tecnico le fotografie di Wilhelm Von Gloeden erano sicuramente qualitativamente di spessore, considerando che a differenza di altri fotografi di genere con cui spesso si confrontava – tra cui il cugino Wilhelm von Pluschow e il suo assistente Vincenzo Galdi, i suoi scatti godevano di una luce più delicata e di sfumature più impercettibili rispetto alla durezza degli altri due, nonché la compostezza dei suoi modelli rivangava notevolmente le pose plastiche della statuaria greca classica.

La fortuna professionale di Von Gloeden non fu così duratura mentre era in vita, anzi si concluse con la sua dipartita in Germania nel 1915, quando con l’entrata dell’Italia in guerra, la sua presenza sul territorio italiano non era gradita in quanto cittadino di uno stato rivale. La sua casa e il suo studio furono comunque tenuti vivi, nei tre anni di guerra, dal suo modello nonché amante Pancrazio Bucinì, finché nel 1919 il fotografo tedesco non fece ritorno.

Ma ovviamente la guerra aveva cambiato le cose. Molti dei suoi modelli morirono al fronte e lui non riuscì a trovare degni sostituti un po’ perché con la fine della guerra la società taorminese si era imbigottita più di quanto già non fosse, un po’ perché ormai le sue foto bucoliche e classiche non trovavano più una collocazione nel nuovo mondo industrializzato e futurista a cui tutti ambivano.

W. Von Gloeden, Ragazzo disteso, 1890, fotografia, Taormina

Von Gloeden quindi per poco più di un decennio si dette quasi totalmente alla fotografia di paesaggi e nature, aiutando ulteriormente lo sviluppo turistico di quei luoghi meravigliosi che sono le terre siciliane, fino al 16 febbraio 1931, quando all’età di 74 anni morì, lasciando il suo archivio fotografico considerevole (più di 7000 negativi) al suo preferito Pancrazio Bucinì (grazie al dono della sua unica ereditiera che non volle ereditare quegli scatti), che continuò a sviluppare in serie le fotografie del maestro al fine di rivenderle.


Pochi anni dopo, in pieno fascismo, tra il 1933 e il 1934 la casa – studio di Von Gloeden – Bucinì fu sottoposta a sequestro dalla polizia fascista e i tre quarti dell’archivio fotografico dell’artista tedesco fu distrutto, con l’accusa di essere materiale pornografico. Lo stesso Bucinì fu processato a Messina, ma infine assolto. Ad oggi quindi possiamo comunque godere degli scatti le cui lastre sono andate perdute, nonché gli originali rimasti da quel disastro inquisitorio, quando l’artisticità di un grande fotografo tedesco naturalizzato italiano, fu scavalcata dalla sua tendenza sessuale.

W. Von Gloeden, Mani con brocca,
 
1890, fotografia, Taormina
W. Von Gloeden, Tre ragazzi in giardino, 1890,
fotografia, Taormina

 

domenica 30 agosto 2015

La fotografia di Herlinde Koelbl: l'essere umano si racconta.

Fotografia del XX secolo, 
Collezione Gruber, 
Museum Ludwig, Colonia
Leggendo con morboso interesse il mio ultimo acquisto in ambito di storia della fotografia – il catalogo Fotografia del XX secolo, edito Taschen – che tratta della collezione Gruber, permanente al Ludwig Museum di Colonia, ho trovato decisamente interessante la biografia ed il percorso artistico di una fotografa tedesca tutt’oggi vivente, Herlinde Koelbl, nata a Lindau il 31 ottobre del 1939 e residente tutt’oggi a Monaco di Baviera. 

Particolarmente interessante perché, nel mondo selettivo della fotografia di qualità, le donne hanno sempre avuto un ruolo marginale rispetto agli uomini, per numero e notorietà, per quanto quelle poche dotate di vero talento, caparbietà, intuito e determinazione, ad oggi sono riconosciute quali capisaldi della storia della fotografia – una su tutte Margareth Bourke White, di cui ho trattato qui

Herlinde Koelbl
Da sempre interessata al mondo dello spettacolo dell’arte, il filo intersecabile che lega Herlinde Koelbl alla fotografia si crea nel 1975, quando appassionatasi a questo mondo inizia a studiarla da autodidatta: talento, preparazione e attitudine non mancano, tanto che da allora inizia a collaborare con testate giornalistiche di spessore, quali il Zeit Magazin, lo Stern o il New York Times

È presso queste che infatti, come fotoreporter, nel 1987 ha l’occasione di fotografare da vicino il mondo israelita, catturando nei suoi scatti la sacralità di un mondo molto legato alla religione (tant’è vero che non di rado riproduce in quelle sue composizioni, scene che ricordano aneddoti biblici) e la brutalità e la drammaticità della vita quotidiana nella Striscia di Gaza, nel pieno del movimento Intifada. 

La Koelbl dell’Intifada è una fotografa già conosciuta allora, perché la notorietà arriva sin da subito grazie all’intuizione del suo reportage fotografico Il soggiorno tedesco, le cui fotografie immortalano famiglie tedesche più o meno conosciute, nella stanza più comunicativa della casa. Il soggiorno infatti rivela le sfumature di chi l’ha arredato, quindi di conseguenza per alcuni tratti anche la sua anima. 

H. Koelbl, Hans Heinrich A. (agricoltore) e Maria A. (casalinga), 1980, fotografia, Bucher, Monaco.  

H. Koelbl, Alois W. (autista di gru)
e Katharina W. (casalinga), 1980,
fotografia, Bucher, Monaco. 
E proprio in questi scatti che si può notare quindi la diversità tra le famiglie tedesche dei più disparati ceti sociali, a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80: ognuno dei soggetti raffigurati nel proprio soggiorno non viene identificato con il cognome, ma solo col nome, perdendo quindi anche la sua importanza nella società. È così che ci ritroviamo personalità di spicco quali industriali, principesse e magnati, confusi con agricoltori o piccoli imprenditori: l’individuazione del loro gusto, del loro ceto è distinguibile solo guardando ai loro salotti, allestiti seguendo tradizioni culturali e venatorie tedesche o nella più piena modernità avanguardista. 

H. Koelbl, Dr. Franz F. (consigliere) e Gabriele F. (casalinga), 1980, fotografia, Bucher, Monaco.  

H. Koelbl, Tibor Radvanyi (studente) - Parigi,  2002,
 fotografia, Knesebeck Verlag, Monaco. 
La stessa idea sarà ripresa nel 2002, quando riproporrà Camere da letto. La tipologia d’indagine è pressappoco la stessa, ma le camere da letto prese in considerazione non sono solo tedesche – berlinesi nello specifico, -  ma anche londinesi, moscovite, newyorkesi, parigine e romane. 
In un giro del mondo virtuale, in piccole particolarità ogni camera da letto immortalata tradisce l’appartenenza geoculturale di chi la abita. 


H. Koelbl, Peter e Liz Ward (presidente  e casalinga) - Londra,
2002, fotografia, Knesebeck Verlag, Monaco.
Soggetti che non sono solo parte di arredamento ma che anzi, spiegano attraverso i loro occhi quello che vediamo attorno a loro: malinconica e romantica è la romana Concetta Duranti, la pensionata 85enne seduta sul suo lettone ordinato e rivestito di pizzo, mentre fissa fuori dalla finestra, seduta accanto alla sua bambola di porcellana; rock e cosmopolita è la berlinese Andrea Kummer, distesa seminuda e tatuata sul suo letto rosso, in una stanza che sposa elementi kitsch, musicali e religiosi; dolcissima e tradizionale è la pensionata moscovita Kira Swiridowa, composta sul suo letto e circondata da un arredamento minimal in cui si staglia un televisore con la cassa in legno, stile anni ’80, e così via. 

H. Koelbl, Andrea Kummer (studentessa)
- Berlino, 2002, fotografia,
Knesebeck Verlag, Monaco. 
H. Koelbl, Concetta Duranti (pensionata) - Roma, 2002,
fotografia, Knesebeck Verlag, Monaco. 







H. Koelbl, Kira Swiridowa (pensionata) - Mosca, 2002, fotografia, Knesebeck Verlag, Monaco.

H. Koelbl, Gente Elegante, 1986, fotografia,
Edition Stemmle, Schaffhausen. 
A I soggiorni tedeschi, segue quindi nell’86 la pubblicazione del suo reportage Gente Elegante, in cui in modo impietoso Herlinde Koelbl con il suo obbiettivo va a raccontare cosa si nasconde effettivamente dietro la facciata spesso ipocrita dell’elite della società. In un mondo fatto di galà, serate di beneficienza, vernissage e cene super lussuose, le fotografie dell’artista sono uno smacco: il retrogusto kitsch dell’abbigliamento sontuoso e scollato delle commensali, le unghie brillantinate e in pendant con anelli e bracciali che ricoprono le mani di donne intente a fumare, uomini di alto livello che palpano il seno alle loro accompagnatrici in preda a qualche bicchiere di troppo, claque che sostiene la spogliarellista intenta a togliersi le vesti.. tutto ricorda quella società alla deriva, raccontata anche dagli espressionisti tedeschi qualche decennio addietro. 

H. Koelbl, Gente Elegante, 1986,
fotografia, 
Edition Stemmle, Schaffhausen. 
H. Koelbl, Gente Elegante, 1986,
fotografia, 
Edition Stemmle, Schaffhausen. 

H. Koelble, Uomini, 1984,
fotografia, List Verlag, Monaco
Ancora di forte impatto è il dittico Uomini e Donne forti, due reportage eseguiti con un distacco di poco più di un decennio il primo dal secondo – 1984 e 1996 – che indagano circa la complessità psicofisica dell’essere umano in entrambi i generi. 
Gli scatti di Uomini, sono fotografie che non hanno l’intenzione di apparire sterilmente cariche di erotismo e machismo, ma documenti che rivelano da un lato la plasticità e la tensione di linee molto ben definite, che ben si sposano con i chiaroscuri provocati dall’angolazione dello scatto e dalla direzione della luce, dall’altro la dolcezza di attimi di intimità e smascheramento, la consapevolezza dell’età che avanza, ma anche la virilità e il desiderio dell’amore omosessuale.


H. Koelble, Uomini, 1984, 
fotografia, List Verlag, Monaco
H. Koelble, Uomini, 1984, 
fotografia, List Verlag, Monaco

H. Koelble, Uomini, 1984, 
fotografia, List Verlag, Monaco
H. Koelble, Uomini, 1984, 
fotografia, List Verlag, Monaco

H. Koelbl, Donne forti, 1996,
fotografia, Knesebeck Verlag
Con Donne forti fa lo stesso, ma il lavoro si rivela ancor più delicato in questo caso. Gli scatti che compongono il reportage sono emozionalmente forti, perché forti sono anche i pregiudizi verso quelle donne dal fisico muscoloso, prorompente o segnato dall’età che avanza. Le donne delle fotografie di Koelbl sono davvero forti, lo dimostrano sorridendo sinceramente e mostrando le loro nudità burrose e morbide o estremamente rugose, che smorzano la compattezza degli scatti creando un dolce dinamismo sinuoso e veritiero. 







H. Koelbl, Donne forti, 1996,
fotografia, Knesebeck Verlag
H. Koelbl, Donne forti, 1996,
fotografia, Knesebeck Verlag

H. Koelbl, Donne forti, 1996,
fotografia, Knesebeck Verlag
H. Koelbl, Donne forti, 1996,
fotografia, Knesebeck Verlag

D’altronde il percorso artistico della Koelbl segue una linea volta alla denuncia, sia nel senso letterale della parola che nella versione più cruda. È un percorso volto a raccontare e a spiegare quello che spesso non sia ha voglia di guardare, così come è stato per Gente Elegante e Donne forti. Lo fa sempre nel 1996 anche con il suo reportage Sacrificio, in cui senza prendere parti e difese, semplicemente documenta il macello degli ovini nella crudeltà più veritiera. 


H. Koelbl, Sacrificio, 1996,
fotografia, Edizione Braus, Heidelberg
H. Koelbl, Sacrificio, 1996, 
fotografia, Edizione Braus, Heidelberg

Non accentua la Koelbl ma documenta, resta lì a guardare e a dimostrare: le fotografie a colori piuttosto che in bianco e nero rendono il pathos di quanto accade e l’effimera arrendevolezza degli anelli, appesi scuoiati agli alberi o ormai deboli e in fin di vita sgozzati e inondati del loro sangue: sacrificio di esseri viventi per l’alimentazione dell’uomo e chiaro rimando alla religiosità insita dell’atto. 


H. Koelbl, Sacrificio, 1996, 
fotografia, Edizione Braus, Heidelberg
H. Koelbl, Sacrificio, 1996, 
fotografia, Edizione Braus, Heidelberg


H. Koelbl, Obiettivi - Brasile, 2014, fotografia, Prestel
Stessa politica attuata per il suo ultimo lavoro (2014), Obiettivi, reportage che attraverso foto scattate in più di trenta paesi nei sei anni addietro alla pubblicazione, mostra come i soldati vengano addestrati ad uccidere. Dietro ogni scatto c’è l’intenzionalità di raccontare aspetti psicologici legati a chi insegna, a chi impara e alla società di cui fanno parte: un caso per tutti l’esempio americano, per cui il nemico è il sagomato di un terrorista arabo intento a premere il detonatore di una bomba. 



H. Koelbl, Obiettivi -USA, 2014, fotografia, Prestel

Ma la sua opera più importante rimane sicuramente Tracce di potere del 1999, reportage che riprende in più riprese i ritratti dei più importanti politici della Germania degli ultimi decenni. Joschka Fischer, Gerhard Schröder, Angela Merkel, Arnold Vaatz, Frank Schirrmacher, Renate Schmidt, Monika Hohlmeier e Irmgard Schwaetzer sono tra i protagonisti di questo lavoro, esemplare se si ragionasse sul fatto che alcuni di loro sono stati fondamentali per il traino della Germania in Europa, come i cancellieri Gerhard Schröder o Angela Merkel, che tutt’oggi è il perno principale su cui fa leva l’Unione Europea. 


H. Koelble, Angela Merkel, 1991, fotografia, Monaco. 

H. Koelble, Angela Merkel, 2006, fotografia, Monaco. 



domenica 26 aprile 2015

L'arte vittima del nazismo tra messa all'indice, trafugamento e distruzione.

È indubbio che storicamente parlando gli anni in cui si sono sviluppati l’avvento dei regimi totalitari prima e lo sviluppo della Seconda Guerra Mondiale poi, abbiano visto in prima linea anche la storia dell’arte quale protagonista non solo dell’evoluzione della società e del pensare comune di quel lasso di tempo, ma anche come vittima in prima persona degli errori (ed orrori) che questi hanno generato.

Caravaggio, Ritratto di cortigiana, 1597,
olio su tela, già al Kaiser Friedrich Museum,
perso durante l'incendio del 1945 al
Flakturm Friedrichshain di Berlino. 
Caravaggio, San Matteo e l'Angelo, 1601,
olio du tela, già al Kaiser Friedrich Museum,
perso durante l'incendio del 1945 al
Flakturm Friedrichshain di Berlino. 

E se in Italia non possiamo parlare di un vero e proprio dolo nei confronti dell’arte, per quanto questa sotto il fascismo sia diventata meramente propagandista attraverso la pittura e scultura futuriste e l’architettura di regime, sotto la Germania Nazista l’arte subisce una vera e propria pugnalata, essendo soggetta a decisioni derivanti da una politica scellerata a riguardo.

G. Dottori, Polittico della Rivoluzione Fascista, 1939, tempera su tavola, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma

È il caso dell’ideale nazista dell’arte degenerata, secondo il cui pensiero, ogni opera d’arte contemporanea che si discostasse dagli ideali e dai canoni di bellezza e veridicità del passato, non meritava di dover esser contemplata o ricordata: di qui la messa all’indice delle opere degli artisti contemporanei nelle diverse mostre sull’arte degenerata, una tra tutte quella di Monaco del 1937, poi successivamente il rogo pubblico degli stessi dipinti.

Spettatori della mostra sull'arte degenerata tenutasi a
Monaco nel 1937. Nello specifico le due signore sono
intente ad "ammirare" Strada di Berlino di E. L. Kirchner
Dipinti di Mark, Munch, Ernst, Kirchner, Nolde, Dix, Chagall, Grosz, Picasso e molti altri artisti appartenenti alle nuove avanguardie che a inizio secolo si svilupparono in Francia, Russia e Germania, come il Fauvismo, la Nuova Oggettività, l’Espressionismo Tedesco, o il Cubismo. Dipinti andati irrimediabilmente, purtroppo perduti, nonostante ancor oggi capiti che si affacci speranzoso qualche caso di ritrovamento presso abitazioni private degli ereditari di grandi collezionisti o funzionari nazisti che preferirono, in una piena visione lungimirante della cosa, conservare piuttosto che ardere le preziose tele e disegni (si veda il ritrovamento a Monaco di 1500 opere nell’appartamento di Cornelius Gurlitt, figlio del noto collezionista Hildebrand, datato al novembre 2013).

Allestimento di una delle sale della mostra sull'arte degenerata tenutasi a Monaco nel 1937.

Michelangelo,
Madonna di Bruges,
1503 – 1505, marmo,
Chiesa di Nostra Signora,
Bruges
O ancora come nel caso del trafugamento delle opere dai musei delle città conquistate volta per volta dall’esercito tedesco, opere che, vittime di una vera e propria requisizione, furono imballate e inviate nelle miniere di alcune cittadine tedesche per essere esposte nel grande museo di arte che Hitler avrebbe voluto creare a Linz una volta finita la guerra.

Tra queste configuravano opere provenienti dal Louvre e dai musei francesi e italiani, dalle cattedrali belga, olandesi e francesi; opere del calibro della Madonna di Bruges di Michelangelo, trafugata nel 1944 dalla Chiesa di Nostra Signora presso la città fiamminga e del Trittico dell’Agnello Mistico – altrimenti Pala di Gand – di Jan Van Eyck, inviata preventivamente al Vaticano dai sacerdoti della cattedrale per evitare che finisse nelle mani dei nazisti, ma intercettata e trafugata.


J. Van Eyck, Trittico dell’Agnello Mistico, 1426 – 1432, olio su tavola, Cattedrale di San Bavone, Gand

Stephen Kovalyak, George Stout e Thomas Carr Howe 
mettono in salvo la Madonna di Bruges di Michelangelo
rinvenuta presso una miniera tedesca nel 1945.
Opere che sono le protagoniste del film del 2014 Monuments Men, basato su una storia vera, secondo cui una troupe di storici dell’arte, direttori di musei, architetti e collezionisti anglo- franco-americani provvide negli ultimi anni della guerra a cercare, salvaguardare, catalogare e riconsegnare tutte le opere depredate dai nazisti.

Ovviamente essendo alquanto veritiero, il film racconta anche l’orrore derivante dalla bolla emanata da Hitler di distruggere qualunque cosa sopravvivesse alla sua morte: infrastrutture, armamenti e non meno opere d’arte. Cosa che effettivamente fu eseguita dai plotoni nazisti a guerra quasi ultimata, che con la loro decisione condannarono migliaia di opere d’arte all’oblio e al mancato godimento di un pubblico futuro.

Soldato americano osserva alcune opere trafugate dai nazisti

Piccolo caso emblematico del film è dato dall’appicco del fuoco su un’opera ritenuta di Raffaello, il Ritratto di Giovane Uomo (che taluni studiosi credono essere un suo autoritratto giovanile), depredato dai nazisti durante l’invasione della Polonia nel 1939, dal Museo Czartoryski di Cracovia assieme alla Dama con l’ermellino di Leonardo, seconda di un “dittico” acquistato dai conti Czartorysky nel 1798 per la propria collezione. Quest’ultima oggi è sita nel Castello Wawel, dopo esser stata ritrovata in una miniera di sale, godendo per l’appunto di una sorte migliore rispetto al primo dipinto.

Leonardo da Vinci, Dama con l’ermellino,
 olio su tavola, 1490, Castello di Wawel, Cracovia
I Monuments Man ripongono la Dama con l’Ermellino
nella cassa, per rispedirla in Polonia, Aprile 1946





Un dipinto che si credeva perduto sino al luglio del 2012, quando un portavoce dell’Ufficio per la Restituzione dei Beni Culturali del Ministero polacco degli Affari Esteri ha dichiarato alla stampa la lieta notizia secondo cui il ritratto sarebbe stato ritrovato nel bunker di una banca di una Nazione le cui leggi sono favorevoli alla restituzione, non specificando però di quale stato si tratti; dichiarazione che quindi renderebbe del tutto fuorviante la vicenda narrata nel film hollywoodiano.

Ma la notizia apparsa su tutti i giornali nei primi di agosto dello stesso anno, ancor oggi non ha avuto un seguito. Ad onor del vero però è molto probabile che, essendo il caso molto delicato dato che si parla di un dipinto di inestimabile valore, le trattative per riaverlo in Polonia non siano ancora concluse e che quindi a riguardo viga il silenzio stampa più assoluto. Di sicuro attendiamo fiduciosi l’evoluzione della vicenda, sperando che il ritratto dell’artista urbinate torni a brillare di luce propria nel castello di Wawel accanto alla Dama con l’ermellino, dopo 70 anni di riposo in un bunker.

Raffaello, Ritratto di giovane, 1516 – 1517, olio su tavola, già nel Museo Czartoryski, Cracovia