lunedì 24 novembre 2014

Il gioco nella storia dell'arte

Il percorso che ha come soggetto il gioco nel corso della storia dell’arte è da considerarsi un vero e proprio iter di documenti visivi, attestanti  i modi in cui per secoli l’uomo ha impiegato gran parte del suo tempo libero. Attraverso affreschi e dipinti mobili in massima parte infatti, è ben chiara sia l’evoluzione ludica, che quella legata al modo di rappresentarne i suoi aspetti più variegati.

Già nelle civiltà preclassiche abbiamo una corposa testimonianza di quelli che erano i giochi adoperati da adulti e bambini, buona parte derivante da reperti archeologici e raffigurazioni parietali  dell’antico Egitto: mentre i più piccoli si dilettavano nell’utilizzo di bambole e palle di pezza, i più grandi si sfidavano e si allenavano su diversi giochi da tavola, tra cui notevole importanza ricopriva la senet.

Nefertari gioca alla senet, XIX dinastia, affresco, 
Tomba di Nefertari, Valle delle Regine di Luxor
Il gioco della senet era da considerarsi  una sorta di dama a due, che si giocava su di una scacchiera rettangolare di 30 caselle quadrate disposte su tre file parallele. Un gioco molto importante per gli egizi, perché legato alla sfida estrema contro il Destino, che avrebbe deciso le sorti dell’anima di ognuno di loro: in una visione molto mistico - religiosa della cosa infatti, a fine partita se l’anima defunta avesse avuto la meglio, il premio per questa sarebbe stata la vita eterna.

Una raffigurazione del rito ci viene consegnata dall’affresco rinvenuto nell’anticamera della Tomba di Nefertari, nella Valle delle Regine a Luxor, nel quale la regina è intenta a giocare alla senet con l’invisibile Destino. Nella meravigliosa e luminosa pittura parietale, la regina non appare affatto preoccupata dal gioco che ne segnerà le sue sorti, anzi guarda con aria ieratica ed al tempo stesso di sfida il suo avversario, sicura delle sue nobili doti e della fortuna che l’assisterà.

Vaso a figure nere con Achille e Aiace,
530 ca, Museo Gregoriano Etrusco,
Città del Vaticano
Il gioco da tavola si è rivelato essere un passatempo molto amato anche dai greci, come testimoniato da diversi vasi rinvenuti nella penisola. Sicuramente però l’opera d’arte vascolare più interessante da prendere in considerazione per delineare l’importanza che rivestiva il gioco nella patria dei giochi olimpici, è senza dubbio il vaso a figure nere con Achille e Aiace. Seppur di manifattura etrusca infatti, i soggetti del vaso sono i due eroi greci dell’Iliade, sorpresi in un momento di tregua durante la guerra: Achille e Aiace sono qui raffigurati nel bel mezzo del gioco, mentre leggono i punti realizzati dai due, rispettivamente quattro e tre, come specificato dalle iscrizioni presenti nello spazio tra le due sagome.

Il gioco dei dadi, diletto di Achille e Aiace nella raffigurazione vascolare, fu anche uno dei preferiti dal popolo romano, che non di rado si raccoglieva in gruppi per giocarci.
Dall’Osteria della Via di Mercurio di Pompei infatti, proviene un affresco molto caratteristico che ripropone un’accesa partita all’alea, un gioco di dadi e tavola disegnata equivalente al nostro attuale backgammon. Ovviamente, - così come nel caso della senit – anche per l’alea sono stati rinvenuti diversi reperti archeologici riguardanti dadi e tavole da gioco, ma questo affresco rimane un documento imprescindibile a raccontare l’essenza dell’agonismo tra gli sfidanti, supportati alle loro spalle da amici schierati e presi dalla frenesia di vincere.

Giocatori di dadi,  II sec. a.C., affresco, Osteria della Via di Mercurio, Pompei

Bambola di Crepereia
Tryphaen, II sec. d.C, avorio,
Musei Capitolini, Roma
Per i più piccoli invece, così come detto per le civiltà precedenti, andavano di gran moda palle di stoffa e cuoio e bamboline. Solitamente queste erano di stoffa, legno o terracotta, raramente snodabili per via di arti collegati tra loro da perni.
Sicuramente una delle bambole più anatomicamente precise e di qualità, è quella in avorio appartenuta alla giovane Crepereia Tryphaen, rinvenuta nella tomba della ragazza più di un secolo fa e conservata attualmente ai Capitolini. La bambola, gioco di infanzia della ragazza vissuta nel II sec. d.C., ormai in età adulta e probabilmente già sposata e madre al momento della morte, recava con sé un cofanetto contenente gioielli, pettinini, spazzole e specchi in miniatura, la cui chiave era custodita in un anello d’oro al dito di Crepereia, cosa che attesta come solitamente le bambole fossero delle fedeli compagne per le fanciulle, atte a seguirle nella crescita e a non abbandonarle mai.

Ovviamente una volta cresciute, le bambole non erano più però un gioco usuale per le loro padrone, che sicuramente preferivano divertirsi in altro modo durante l’arco della giornata: dalla Villa del Casale a Piazza Armerina, il pavimento musivo di una delle sale risalente al III secolo d.C., rivela alcuni modi di divertirsi tipico delle ragazze d’età imperiale. Tra tutte spiccano le due fanciulle intente a giocare a palla comode nel loro bikini, l’indumento a due pezzi utilizzato dalle donne durante le gare a carattere sportivo.

Mosaico delle dieci ragazze, III sec. d.C., Villa del Casale, Piazza Armerina

Il gioco della pelota, da Las Cantigas
de Santa Maria di Alfonso X,
XIV sec., Escorial, San Lorenzo
Senza dubbio più imbragate le donne che giocano alla pelota, raffigurate nella miniatura dell’opera poetica iberica Las Cantigas de Santa Maria, volute da Alfonso X e custodite presso l’Escorial di San Lorenzo. Come le due fanciulle che giocano a palla nella Villa del Casale di Piazza Armerina, anche le donne che giocano alla pelota sono intente a divertirsi con la palla di pezza, lanciata in aria da una loro compagna munita di una mazza: si potrebbe pensare che questo gioco fosse praticamente un antenato del baseball, da come viene raffigurato.

Giocatore di scacchi, XI sec, mosaico,
Basilica di San Savino, Piacenza
Nella stessa opera del XIV secolo, trova posto anche la raffigurazione del gioco degli scacchi.
Nella miniatura, due signori appaiono intenti a giocare con pezzi e scacchiera all’interno di un palazzo; il primo è in procinto di muovere il Re, mentre il secondo attende paziente il suo turno.
Interessante è notare nell’illustrazione, come la scacchiera sia raffigurata verticalmente nel suo piano d’appoggio, un’imprecisione tipica del disegno medievale pre - prospettivo e pre – volumetrico necessaria a rivelare ogni particolare presente nella scena, come si evince per altro in altre testimonianze precedenti e coeve, una su tutte il Giocatore di scacchi del mosaico pavimentale della Basilica di San Savino a Piacenza.

Il gioco degli scacchi, da Las Cantigas de Santa Maria di Alfonso X, XIV sec., Escorial, San Lorenzo

L. Van Leyden, Il gioco degli scacchi, 1505,
olio su tela, Staatliche Museen, Berlino
A tal punto è simpatico notare come con l’avvento della prospettiva, la diffusione del suo studio, e l’evoluzione del disegno quale copia dal vero, la resa della scacchiera nella raffigurazione di ipotetiche partite, segua visioni più realistiche.
Agli inizi del XVI secolo, il pittore fiammingo Lucas van Leyden, raffigura in modo più armonioso rispetto al passato, la volumetria della scacchiera, adagiandola elegantemente sul tavolo. Se da un lato la prospettiva non è ancora del tutto precisa, dall’altro è lodevole il modo in cui il dipinto documenta la dedizione da un lato e l’impazienza dall’altro, dei due giocatori che si stanno sfidando.

S. Anguissola, Partita a scacchi, 1555,
olio su tela, Museum Narodowe, Poznan
Decisamente più realistico e proporzionato, l’autoritratto di Sofonisba Anguissola, intenta a giocare a scacchi. Nonostante la volumetria del suo profilo si annulli in una visione bidimensionale, tavolo, scacchiera e pezzi sono resi in modo meticoloso ed elegante: la scacchiera appare leggera nel suo spessore molto fino e nell’incavatura interna; i pezzi sono rifiniti nei particolari, nella lucentezza delle loro rotondità e nelle delicate cromie chiare e scure.

Scommessa al gioco dei dadi, sec.XV,
miniatura, Bibl. Riccardiana, Firenze
Oltre agli scacchi, altro gioco molto in voga nel medioevo era quello dei dadi, un gioco vietato in molte contee perché visto come fonte di sperpero di ricchezze e di perdizione. Per quanto però torture e pene capitali severe avrebbero dovuto garantire la messa al bando del suddetto, il gioco dei dadi continuò a svilupparsi nella sua illegalità, come testimoniano diverse miniature e dipinti.
A testimonianza di ciò si guardi la miniatura del XV secolo, della Scommessa al gioco dei dadi, proveniente dal Trattato di aritmetica di Filippo Calandri. Nella miniatura in questione, due uomini sotto un loggione sono intenti a calcolare tutte le combinazioni possibili derivanti dai lanci dei dadi.

Anche Caravaggio, due secoli più tardi, tocca il tema del gioco d’azzardo nella sua tela de’ I bari, custodita in Texas al Kimbell Art Museum di Fort Worth. La scena raffigura due giocatori intenti a disputare una partita dello “zarro”, un gioco d’azzardo bandito nella penisola perché ritenuto pericoloso per via delle risse che ne scaturivano tra i giocatori.
Nel caso di genere, la situazione raffigurata è decisamente interessante, perché attesta in modo accurato e psicologicamente valido, il modus operandi dei bari, per cui uno dei due si proponeva di giocare contro il fanciullo ignaro, mentre l’altro, postatosi dietro di questo, suggeriva al primo le carte possedute dall’ingenuo ragazzino.

Caravaggio, I bari, 1594, olio su tela, Kimbell Art Museum, Fort Worth

G. De La Tour, Giocatori di dadi, 1650,
olio su tela, Teesside Museum, Middlesbrough
Qualche decennio dopo anche Georges de La Tour, ripropone il tema del gioco d’azzardo, nella sua tela Giocatori di dadi, custodita nel Teesside Museum di Middlesbrough. Come nella migliore tradizione caravaggesca, anche qui la componente peculiare del dipinto è data dal gioco creato dalla luce artificiale di una candela che squarcia il buio della notte: la candela d’altronde era particolarmente legata al gioco d’azzardo, perché costando molto, questa veniva puntualmente portata da qualche giocatore che poi la donava al proprietario della dimora che ospitava partite e tornei. Il detto “Il gioco non vale la candela”, deriva infatti dal lamento proveniente dai giocatori che, avendo perso soldi o non avendo guadagnato nulla nel corso della notte, non erano riusciti neanche a racimolare quanto speso per la candela regalata.

J. Steen, Giocatori di birilli,
1663, olio su tela,
National Gallery, Londra
Un ottima descrizione degli scontri tra i giocatori di dadi o di carte, è quindi data da Jan Steen nel suo Argomento in un gioco di carte, olio su tela del 1656, sito allo Staatliche Museen di Berlino.
Il dipinto infatti raffigura la conseguenza derivante da una disputa avvenuta durante il gioco delle carte, tra due uomini, assistiti da persone divertite dalla cosa. Mentre la scena ritrae il dinamismo dei due litiganti, tenuti a freno dagli altri popolani, l’occhio cade irrimediabilmente ai giochi gettati sul tavolo e sul pavimento: alcune carte da poker e un backgammon.
Oltre a questa tipologia, Steen dipinse anche scene ludiche molto più armoniose e tranquille, come Giocatori di birilli davanti ad una locanda, olio su tela del 1663 che ripropone la dolcezza e la serenità di una tipica giornata passata a divertirsi con una boccia e dieci birilli.

J. Steen, L’argomento in un gioco di carte, 1650 ca, olio su tela, Staatliche Museen, Berlino

J. B. S. Chardin, Il castello di carte, 1737,
olio su tela, National Gallery, Washington
La stessa serenità si legge nel dipinto di Jean Baptiste Simon Chardin, che raffigura un ragazzo intento a costruire un Castello di carte. L’olio su tela è importante perché racconta un aspetto della vita quotidiana legato non ad un gioco di carte, ma ad un passatempo ottenuto con l’utilizzo di queste. Le carte infatti, vengono svincolate dal loro compito per essere utilizzate come sottili ed instabili mattoncini di cartoncino, raccogliendo tutta la dedizione del fanciullo che, da perfetto ingegnere, costruisce la sua casetta cercando ogni possibile equilibrio.

J.H.W. Tischbein, Corradino di Svevia e 
Friedrich von Baden aspettano la sentenza, 1785, 
olio su tela, Museo dell’Ermitage, S.Pietroburgo
La dedizione nel gioco tocca anche i protagonisti della tela romantica di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein del 1785, nella quale Corradino di Svevia e Friedrich von Baden aspettano la sentenza che li condannerà alla pena capitale per aver tentato di usurpare il trono di Carlo d’Angiò. Infatti i due principi sembrano quasi più infastiditi di essere stati interrotti durante la loro partita di scacchi, che dal fatto di essere stati condannati a morte come rivelato dal giudice Roberto di Bari.

Anche con l’avvento dell’arte contemporanea il tema del gioco continua ad essere preso in considerazione dagli artisti delle diverse correnti, che talora attraverso di esso, raccontano una nuova poetica ed un nuovo modo di vedere le cose. È il caso de’ I giocatori di carte di Paul Cezanne, olio su tela del 1890, che racconta meglio di tante altre opere il gioco geometrico e cromatico tipico del pittore francese: i corpi dei due uomini intenti a concentrarsi sulle carte nella locanda di paese, sono composti da rettangoli, cilindri e linee spezzate e ricurve; i colori sono vivi e armonizzano l’intera scena.

P. Cezanne, I giocatori di carte, 1890,
olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi
J. Gris, La scacchiera, 1915, olio su tela,
Art Institute of Chicago, Chicago

Da Cezanne prenderanno spunto sia Pablo Picasso che Henri Matisse per i loro stili: il primo darà il via insieme a Juan Gris  al cubismo (nello specifico del tema si veda l’analitica scomposizione de’ La scacchiera del 1915, sita all’Art Institute di Chicago); il secondo creerà le fondamenta per il fauvismo, corrente che fa del colore il mezzo espressivo per eccellenza.
E a tal proposito si veda come Matisse sia riuscito a sposare il suo stile pittorico ed il tema del gioco in due sue opere: La famiglia del pittore e Gioco di bocce.

H. Matisse, La famiglia del pittore, 1911, olio su tela, 
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
Nel primo del 1911, è chiaro il rimando ai diversi esperimenti di composizione decorativa, dove alle innumerevoli stoffe che decoravano il salone di casa Matisse, si viene a sovrapporre la rappresentazione dei diversi componenti della famiglia del pittore: la moglie Amelie con un vestito color senape fiorato, la figlia Marguerite con un abito lungo nero ed i piccoli Jean e Pierre assorti nel giocare a dama.

Nel secondo del 1915, è evidente la riconduzione stilistica e cromatica alla Danza ed alla Musica, i pannelli custoditi così come il Gioco di bocce, al Museo dell’Ermitage: i colori principali adoperati nella tela sono il verde per il prato, l’azzurro per il cielo, il rosa per i corpi, il rosso per il telo ed il nero per le bocce; tutto è ricondotto ai minimi termini a creare quasi una sorta di atemporalità ed aspazialità del gioco, esistente da sempre ed esistente per sempre.

H. Matisse, Gioco di bocce, 1905, olio su tela, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

Solo cinque anni più tardi, a Prima Guerra Mondiale finita, un altro esponente dell’Espressionismo ritornerà sul tema del gioco: il tedesco Otto Dix con la sua tela de’ Invalidi di guerra giocano a carte. La tela, custodita alla Neue Nationalgalerie di Berlino, raffigura tre reduci di guerra nei quali è estremamente evidente lo storpiamento fisico al limite dell’inverosimile: eppure nonostante i disagi e gli impedimenti che caratterizzeranno i tre reduci fino alla fine dei loro giorni, le loro espressioni sono tranquille, sorridenti e incentrate sulle carte, a dimostrazione che nonostante ogni avversità che può cogliere l’uomo nel corso della sua vita, il gioco sarà sempre una via per raggiungere momenti di felicità e benessere dell’anima. 

O. Dix, Invalidi di guerra giocano a carte, 1920, olio su tela, Neue Nationalgalerie, Berlino

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