mercoledì 2 luglio 2014

Il gatto nella storia dell'arte

Gatto di Gayer – Anderson,
VII – IV sec.
A.C., bronzo,
 British Museum, Londra
L’amore per i gatti si perde agli albori delle prime civiltà riconosciute. Per gli egizi, questi assunsero persino un valore divino: basti pensare alla dea Bastet, impersonata proprio dal gatto (in alcune varianti anche dalla personificazione antropomorfa di una gatta). D’altronde non era poi così strano che un gatto fosse visto come un elemento divino, dato che questi padroneggiavano ogni casa, tempio ed edificio, con lo scopo di salvaguardare chi ci abitava dalla presenza dei topi. La statua bronzea del Gatto di Gayer - Anderson, conservata al British Museum, ben testimonia questo attaccamento votivo del popolo egizio al gatto: in una posa regale ed austera, la dea gatta Bastet, munita di orecchini pendenti e anello al naso d’oro, longilinea ed anatomicamente perfetta, osserva - quasi supervisiona - quelli che erano gli abitanti della struttura in cui fu rinvenuta.

Xenia - soggetto di gatto, II sec. A.C.,
 mosaico, Museo Archeologico, Napoli
Già trascinandosi avanti con le civiltà greca e romana, devote ad un politeismo di stampo antropomorfo, il gatto perde di quella divinità acquisita con gli egizi, per ridimensionarsi a semplice animale domestico, il cui compito principale non cambia: quello di cacciare topi. Nel mosaico dello Xenia con soggetto di gatto, proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei e conservato attualmente al Museo Archeologico di Napoli, ben si evidenzia la spensieratezza del gatto, intento ad agguantare un uccello. È strabiliante la resa precisa dell’animale domestico nel suo manto striato e nell’azione della cattura: gli occhi sgranati, le zampe posteriori indietro per darsi lo slancio e quella anteriore sinistra sul collo dell’uccello.

Pantaleone, Raffigurazione di gatto, 1165, mosaico,
Cattedrale di Santa Maria Annunziata, Otranto
Un altro mosaico raffigurante un gatto rossiccio, è riscontrabile nella Cattedrale di Otranto. Esso fa parte di un ciclo musivo che decora interamente il pavimento dell’edificio religioso, voluto nel 1163 - 1165 dal vescovo della città ed eseguito dal monaco Pantaleone. Come si può notare, l’esecuzione del Gatto di Otranto perde quella perfezione raggiunta con i romani e dimenticata a seguito delle orde barbariche, a vantaggio di una resa più semplicistica e stilizzata. Secondo alcuni pareri, quello raffigurato potrebbe non essere un gatto, ma una lonza, felino molto simile al suo parente domestico. Ad ogni modo è interessante notare come l’animale sia stato in alcuni punti “umanizzato”: le zampette diventano mani, gli occhi diventano amigdaloidi,  addirittura su due zampe indossa un paio di calzature.

G. Romano, Madonna della gatta, 1523,
olio su tela, Museo di Capodimonte, Napoli
Con l’avvento della pittura cosiddetta moderna (da Giotto in poi per intenderci) è molto più riscontrabile la presenza del gatto nei dipinti degli artisti, soprattutto quelli di stampo religioso. Ne sono esempio le diverse madonne, talvolta rinominate “della gatta” per via dell’animale presente.
Una gatta che non sempre è il soggetto protagonista del quadro o è ben visibile nella composizione, ma che, per via di un particolare atteggiamento o di una particolare curiosità trasmessa, diviene il punto d’attenzione.

È così ad esempio nella Madonna della gatta di Giulio Romano, conservata a Capodimonte. La scena è complessa, perché si apre a diversi ambienti di un edificio abitativo, nel migliore dei giochi prospettico - volumetrici, e vede protagonisti una Sacra Famiglia con Sant’Anna in primo piano assieme alla Vergine, il Bambino e il San Giovannino, e Giuseppe ben visibile in un'altra stanza, attraverso una porta aperta. Tutto sembra tranquillo e appartenente ad un mondo che non ci riguarda e di cui siamo solo passivi spettatori, se non fosse per il gatto ai piedi della vergine, in basso sulla destra, che fissandoci con uno sguardo scettico e profondo, ci coinvolge completamente nella scena.

F. Barocci, Madonna della gatta, 1598, 
olio su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Non accade lo stesso nella Madonna della Gatta di Federico Barocci, dove l’ambiente raccontato è molto più colloquiale e scenico di quello di Giulio Romano. Quello che nel primo dipinto era il ruolo della gatta, adesso è del San Giovannino, mentre proprio la gatta ha un ruolo di protagonista, trovandosi al centro della tela, stesa nel suo splendido manto grigio, in contrasto con il tessuto rosa della Madonna. È una gatta, quella del Barocci, consapevole di essere la padrona degli ambienti in cui abita, amata dagli altri coinquilini e ormai abituata alla presenza di tutte quelle persone.

Tutt’altro fa Lorenzo Lotto nella sua Annunciazione di Recanati, ambientata anch’essa negli interni della casa di Maria. Tutto è da racconto del Vangelo: Maria serena riceve l’arcangelo annunciante la buona novella con la supervisione di Dio (su una nuvola come nel Dio de’ La creazione di Adamo di Michelangelo). Ma quel che è da notare è la reazione del gatto accanto all’Arcangelo, che, spaventato visibilmente dal suo arrivo, non riconoscendone l’entità fugge a zampe levate guardandosi indietro.


L. Lotto, Annunciazione di Recanati, 1534, olio su tela, 
Museo Civico Villa Colloredo Mels, Recanati. 

Un atteggiamento animalesco, perché in fondo di animali si tratta, seppur addolciti dalla vita domestica. Lo sa bene Francisco Goya, che nel suo dipinto degli anni ’80 del Settecento, raffigura due gatti intenti a litigare tra loro. Tutto racconta uno studio mirato del pittore, agli atteggiamenti dei due felini irati: la schiena esageratamente arcuata, le zampe irte, il muso spalancato con denti in bella vista, quasi si potesse sentire il miagolio fastidioso, lo sguardo sbarrato che avvisa dell’aggressione pronta per essere sferrata.


F. Goya, Due gatti che litigano, 1786, olio su tela, Museo del Prado, Madrid

E. Manet, Olympia, 1863, olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi
Oltre a Goya anche altri pittori si lasciano andare al racconto del gatto nella sua quotidianità, nei suoi istinti animaleschi. Lo racconta Edouard Manet nella sua Olympia, dove un gatto nero si erge sul letto della donna sensuale. Anche questo, sembra irritato da quanto gli sta accadendo intorno: la sua posa è sull’attenti, con il posteriore ben più sollevato della zona anteriore, gli occhi aperti, la coda in alto e il pelo rizzato. E ancora Pablo Picasso, nel suo Gatto che divora un uccello del 1939, racconta di un animale che si lascia andare al suo istinto bestiale, che, ben saldo al suolo con i lunghissimi artigli, squarta un uccello, affamato più che mai.


E. Manet, Olympia (part.),
1863, olio su tela, Musèe
d’Orsay, Parigi
P. Picasso, Gatto che divora un uccello, 1939, 
olio su tela, Musèe Picasso, Parigi. 

Oltre che come soggetto di un quadro e in un quadro, il gatto diviene parte essenziale anche della ritrattistica a tema. Diverse sono le tavole e tele che raffigurano personaggi di spicco della società del loro tempo, o semplici modelli, posare con il gatto in grembo o tra le braccia. Due esempi su tutti sono la Dama con il gatto di Francesco Bacchiacca, e la Julie Manet con il gatto, di Pierre Auguste Renoir.

La prima è ritratta di profilo, con lo sguardo ammiccante verso lo spettatore, consapevole della sua beltà e della meraviglia dei suoi abiti e dei suoi gioielli. È il gatto che tiene tra le braccia, dimostra la stessa sensualità della sua padrona, accavallando le zampette quasi come se fosse stato educato a farlo, smuovendo leggermente la testolina verso un lato e guardando con occhi sornioni anch’esso lo spettatore. La seconda racconta di una ragazza molto più ingenua, un’adolescente, che nella dolcezza del suo volto sereno, mostra piacevolezza ad accarezzare il gatto tigrato che ha tra le braccia; gatto che ricambia la sensazione positiva, contraendosi in smorfie di piacere.


F. Bacchiacca, Dama con gatto, 1525,
 olio su tavola, Collezione privata, New York
P. A. Renoir, Ritratto di Julie Manet con il gatto,
1887, olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi

Il dipinto ricorda non poco nell’impostazione della ragazza, la ritrattistica cinquecentesca della dama accompagnata da un animale tenuto tra le braccia. Nella fattispecie due dame, entrambe però munite di un animale atipico o persino fantastico: la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci e la Dama con il liocorno di Raffaello. Particolarmente il primo animale ricorda però l’eleganza e l’anatomia longilinea del felino, che segue quella della sua padrona, sinuosa nelle sue magre forme.


Leonardo, Dama con l’ermellino, 1489,
olio su tavola, Castello di Wawel, Cracovia
Raffaello, Dama con liocorno, 1505,
olio su tavola, Galleria Borghese, Roma

T. A. Steinlen, Tournèe
du Chat Noir avec
Rodolphe Salis, 1896,
 litografia, Zimmerli Art
 Museum, New Brunswick
La sinuosità di un corpo agile e longilineo in fondo è sempre stato il riconoscimento del gatto; elementi che convergono tutti, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nelle opere d’arte contemporanee francesi e tedesche. Si paragonino ad esempio il poster di Theophile Alexandre Steinlen della Tounèe du Chat Noir, con il Gatto nero di Ernst Ludwig Kirchner: entrambi i soggetti sono gatti neri, fieri della loro possanza e del loro carattere. Il gatto de’ Tournèe du Chat Noir, ha uno sguardo più malizioso, aiutato dall’andamento verticale delle sopracciglia finissime, dal pelo irto e dagli artigli rifiniti; il gatto nero di Kirchner invece, nelle sue forme un po’ più burrose e nella dolcezza del suo sguardo dai tratti mistici, ricorda non poco la statua egizia di Gayer - Anderson.





E. L. Kirchner, Gatto nero, 1926,
olio su tela, collezione privata
Gatto di Gayer – Anderson, VII – IV sec. A.C.,
bronzo, British Museum, Londra

M. Chagall, Parigi dalla finestra, 1913, olio su tela,
Peggy Guggenheim Museum, Venezia
Ma il gatto è stato anche fonte di studi mirati a carpirne il lato più astratto della sua personalità. Già con Picasso abbiamo visto come il suo Gatto che divora l’uccello, sia fortemente stereotipato nella sua natura animalesca. Con Marc Chagall invece, assistiamo all’esatto contrario: l’umanizzazione del gatto. Si veda nello specifico la tela de’ Parigi dalla finestra, in cui il gatto all’esatto centro della composizione, mostra un viso ed una malinconia di stampo umano, quasi come fosse una nuova creatura mitologica contemporanea, che mischi i sentimenti dell’uomo alla natura zingara ed indipendente del gatto.

E ancora, Andy Warhol, che si divertì ben bene a ritrarre il gatto Sam, colorandogli il manto e gli occhi di diverse tinte. Nella serie omonima, si può ravvisare come lo stesso gatto passi dal rosa acceso all’arancio ed i suoi occhi si colorino di viola, giallo e rosso. In fondo Andy Warhol fu quell’artista che serigrafò con diverse tonalità grandi personalità dello spettacolo come Marylin Monroe e Liz Taylor, quindi perché non fare lo stesso con il gatto Sam?  


A. Warhol, (4 esempi di) Sam cat , 1954, litografie, Sims Reed Gallery, Londra
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