venerdì 20 settembre 2013

Roy Lichtenstein tra puntinato, sperimentazione e ricerca continua

R. Lichtenstein, M-Maybe, 1965, olio su tela,
Museo Ludwig, Colonia. 
Se scrivessi Lichtenstein su Google Immagini, apparirebbero pagine su pagine, - almeno le iniziali – in cui dipinti di donne con la tecnica del puntinato Ben-Day, si sovrappongono una sull’altra, una dopo l’altra. E ovviamente non è un caso, soprattutto se si stanno cercando informazioni iconografiche sull’artista contemporaneo ancor più che sullo staterello europeo, che è il Liechtenstein.

L’artista americano infatti, nato nel 1923 a New York e morto nella stessa nel 1997, è conosciuto soprattutto per aver avuto il genio di trascinare la tecnica fumettistica del puntinato ad un settore più selettivo ed elitario quale l’arte, permettendo così una sorta di fusione straordinaria tra l’arte del popolo, il fumetto, e l’arte degli estimatori, ritraendo molto spesso figure femminili.

Guardando attentamente oltre alla tecnica, è facile notare come l’artista ami molto riprodurre i primi piani delle donne. Donne che per quanto appartengono alla generazione anni ’60, non ricordano Sandy di Grease o la signora Cunningham di Happy Days: sono donne moderne, proiettate in un mondo che le vede protagoniste al pari degli uomini; donne dai baveri delle camicie alti e dallo sguardo fiero. Ma pur sempre sensuali nei loro rossetti fatiscenti e fragili nelle loro lacrime.

R. Lichtenstein, Look Mickey, 1961, olio su tela,
National Gallery of Art, Washington D.C.
Ma, affermato ciò, ampliando la cosa ad una visione generica che riguarda un po’ tutti gli artisti, sarebbe sbagliato etichettare l’artista soltanto alla corrente che lo ha reso noto, perché Lichtenstein non è solo donne, puntinato e fumetto, per quanto questa sia da considerarsi una fase molto importante – se non la più importante – del suo operato.  

Premesso quindi che, senza dubbio Liechtenstein deve la sua fortuna critica all’idea di rendere “artistico” il fumetto, perché la sua idea di riprodurre su una tela, una parte (quale un quadrato) della pagina di Topolino, letto da milioni di persone, ha reso possibile una sorta di fusione tra due interessi simili ma diametralmente opposti - il fumetto, amato dalla gente, e l’arte, spesso denigrata, non capita, contemplata da gruppi di nicchia ed elite, – è giusto rendere giustizia a quella che è stata la sua esperienza artistica e lavorativa nel corso della sua vita, che quasi sempre ha esulato da tutto ciò.

R. Lichtenstein, Femme d'Alger, 1963, olio su tela,
The Eli and Edythe L. Broad Collection, Los Angeles.
Perché Roy Lichtenstein, come dimostra la sua storia, nella sua longeva carriera di pittore e scultore, prima di arrivare all’intuizione che gli ha fruttato l’immortalità, ha fortemente voluto intraprendere la strada della conoscenza e dell’approccio di diversi metodi e tecniche che, di volta in volta lo hanno portato a sperimentare sempre più nuovi soggetti e nuove idee.

L’artista infatti, per quanto va probabilmente collocato tra i precursori della Pop Art, vide  articolare la sua formazione nel periodo prebellico, sino ad ultimarla a ridosso degli anni ’50. 

Quegli anni ’50 che a New York sono gli anni del tardo dopoguerra ed i primissimi anni del boom, gli anni dell’avanguardia. Quegli anni che plasmano una prima cellula della Pop Art, ma non per Liechtenstein, che ancora in cerca di una sua collocazione ed identità, sperimentava idee approcciando dapprima al cubismo e ancora all’espressionismo.

R. Lichtenstein, Autoritratto, 1951,
olio su tela, collezione privata.
Poi a seguire l’idea del puntinato, che però non lo fermò dal continuare a sperimentare, tra gli anni ’70 e gli anni ’90, lo studio e l’approccio al Futurismo, al Surrealismo. 

Persino la strada del De Stijl venne percorsa da Roy Liechtenstein, che non si lasciò rimpianti alle spalle: le diverse fasi di Lichtenstein sono continue prove di una sua voglia di sperimentare, di conoscere, di incorporare ed evolvere stili conosciuti, ma mai per propria mano. Fanno parte di quella che si può definire “l’eterna fase accademica” dell’artista. 

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