lunedì 16 settembre 2013

Quando l'opera d'arte è di merda: l'idea di Piero Manzoni

La svirgolettata sulla Fontana di Marcel Duchamp quale esempio di arte contemporanea concettuale, mi ha portato a riflettere e ricordare Merda d’Artista, un’altra opera in serie, creata da un artista anticonformista e già affermato nel mentre della sua brevissima vita, Piero Manzoni.

P. Manzoni, Achrome, 1962, ovatta e legno,
Shiba Ryotaro Memorial museum, Osaka. 
Per dirla breve sull’artista, questo, nato nel 1933 e morto ventinovenne nel 1963, apparteneva alla Milano bene del suo tempo: i suoi genitori erano diretti discendenti di Alessandro Manzoni, nonché conti. Nonostante gli studi intrapresi presso la Facoltà di Legge dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, fu l’ambiente avanguardistico frequentato dai suoi genitori ad attirarlo come una calamita verso l’arte, che diventerà già dal 1955 l’unica strada fortemente intrapresa.

Una strada tortuosa e modellata sui propri ragionamenti, ambizioni e consapevolezze: inizialmente si da allo studio della superficie della tela quale ricettore di una realtà rappresentata dalle impronte di ogni tipo di oggetto tra le mani come forbici e chiodi; poi a seguire modificherà la sua arte in uno stile più materico, firmando il manifesto dei Nucleari “Manifesto contro lo stile” e producendo gli Achromes, tele ricoperte di gesso, ospitanti tessuto, feltro, ovatta e cotone.

P. Manzoni, Uovo sodo con impronta, 1960,
inchiostro -bambagia - legno - uovo,
Collezione Boschi Di Stefano, Milano. 
Un primo passo, quello degli Achromes, che porterà ad altre soluzioni come l’ideazione di Fiato d’Artista, consistente in un’opera composta da una base di legno ed un palloncino gonfiato dallo stesso artista, poi sigillato a piombo alla stessa base. Una prima visione della nuova poetica di Manzoni, volta alla trasmissione di una parte del suo vissuto alle generazioni future e coeve, che continuerà nella performance Consumazione dell'arte dinamica del pubblico divorare l'arte, in cui l’artista firmando con l'impronta del pollice alcune uova sode invitava gli spettatori ad ingerire queste sul posto, dopo avergliele consegnate.

Ed ecco che quindi arriviamo a Merda d’Artista. È il 12 agosto 1961 quando Piero Manzoni, presso la Galleria Pescetto di Albisola Marina, presentò 90 scatolette al pubblico, dichiarando che esse contenevano le sue feci. Essendo merda d’artista, - concezione da cui l’opera in serie prenderà il nome – esse erano state stimate dal suo stesso creatore, ormai affermato sulla scena italiana e per alcuni tratti internazionale, con un valore corrispondente al loro peso in oro.

P. Manzoni, Fiato d'artista, 1960.
P. Manzoni, Fiato d'artista, 1960, palloncino e base in legno,
collezione privata, Milano. 

Ogni scatoletta quindi, misurando 30 grammi netti, per una dimensione di 4,8 cm × 6 cm, fu stimata olto al di sotto del loro valore attuale, che, avendo goduto certamente l’opera di fortuna critica, si aggira attualmente tra i 70.000 euro ed i 124.000 euro, tanto quanto è stata pagata la scatoletta numero 018, da un collezionista privato presso la casa d’aste Sotheby’s.
Ma cos’è davvero Merda d’Artista? Possiamo considerarlo un lascito corporeo dell’artista, quasi come fosse un ultimo regalo prima di morire prematuramente a causa di un infarto, o solo una provocazione?

P. Manzoni, Merda d'artista (47), 1961, Scatoletta di latta
e carta stampata, collezione Codognato, Venezia. 
La critica è divisa sul giudizio dell’opera. Fermo restando che secondo l’idea di Manzoni, l’artista non deve mai ripetersi, per cui la fatturazione dell’opera fu solo un inciso con un inizio ed una fine nella sua professione, probabilmente questa sarebbe da intendersi secondo alcuni, come una sorta di provocazione nei confronti di una critica che tende ad ammirare e a consegnare lo scettro aureo ad ogni nuova creazione di un artista già affermato. Per cui anche la merda paradossalmente, se offerta sotto forma di opera d’arte da un artista riconosciuto a livello nazionale o mondiale, diviene essa stessa arte.

Mentre secondo altri critici, ed io tra questi, l’opera ha paradossalmente valore artistico ed inestimabile, se davvero ogni scatoletta, dovesse contenere al suo interno le feci di Piero Manzoni.
Innanzitutto perché sul piano metaforico, le feci essendo la metabolizzazione del cibo ingerito da un essere umano, raffigurano la maturazione di una filosofia o idea che caratterizza l’artista in questione, sino all’espulsione di questa sotto forma di manifesto o opera artistica.

P. Manzoni con le sue creazioni nel 1961.
E ancora perché in qualche modo il contenuto di quelle scatolette, altro non è stato che il bene primario che ha permesso all’artista di vivere, plasmato in altra forma, dopo aver attraversato ogni meandro del suo corpo e della sua intimità.

Ad oggi però ancora non ci è dato sapere se le 90 scatolette contengano davvero i residui organici dell’artista, zio di quella Pippa Bacca performer ed artista anch’essa, morta appena trentatreenne per amore dell’arte e della sua visione conciliatrice tra i popoli: pare infatti che Agostino Bonalumi, amico di Piero Manzoni, abbia dichiarato che in realtà all'interno delle famose scatole da 30 grammi l'una, non vi sia contenuto nient'altro che gesso.

Un’affermazione dura, che probabilmente non troverà mai riscontro, poiché aprire anche una sola di quelle scatolette non solo significherebbe svalutare l’opera d’arte che consta di 90 esemplari numerati e correlabili tra loro, ma anche annullare drasticamente, in caso di reale presenza di gesso, l’alone di provocazione, artisticità, genio e ironia di uno degli esponenti più rinomati ed affermati del panorama artistico italiano degli anni ’60. 

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