venerdì 27 settembre 2013

La grassezza nella figura femminile dell'arte

Nell’arte la figura della donna ha da sempre avuto un’importanza incredibile; raffigurata in tavole, tele, sulle pareti e a tutto tondo in blocchi di porfido o stampi di bronzo di ogni periodo artistico, questa ha visto un’evoluzione legata non solo alla fisionomia ideale ma anche allo status attribuitale.

Kate Moss, stereotipo della donna
moderna filiforme.
Già mi ero occupato di raccontare precedentemente il ruolo della donna nell’arte. In due articoli complementari avevo analizzato il senso di bellezza e di bruttezza riscontrabile nelle donne di ogni epoca artistica: ed in ognuno di essi queste caratteristiche o il senso dato a questi due fattori erano correlabili all’evoluzione della società nei secoli dei secoli, se non proprio vedevano modificarsi nel trapasso tra arte moderna ed arte contemporanea.

Con un occhio critico quanto basta per analizzare la questione, questa volta proverò ad incentrare il discorso sulla grassezza della donna nella storia dell’arte.
Oggi tendiamo senza dubbio a riconoscere nelle donne magrissime lo stereotipo di  bellezza assoluta: non è un caso che la taglia perfetta sia da riscontrarsi in una 38 – 40, che induce chi ambisce a queste misure a dimagrire sino ad ottenere un vitino di vespa.

Eppure la sensualità della donna non è sempre stata legata allo stereotipo della magrezza assoluta, anzi al contrario, come riscontrato dalle civiltà preistoriche che ci hanno lasciato in eredità le loro statuette raffiguranti donne presentanti caratteristiche di steatopigia, la donna perfetta del loro tempo era quella che presentava un adipe pronunciato su seno, cosce, fondoschiena ed addome.

Come nel caso della conosciutissima Venere di Willendorf, una statuetta in pietra calcarea oolitica, presente al Naturhistorisches Museum di Vienna, che nella sua burrosità esagerata, l’ingrossamento sproporzionato della vulva, delle cosce e del seno, ben raffigura l’ideale della madre terra fertile, venerato dalle tribù paleolitiche; caratteristiche confermate già nella più antica Venere di Savignano del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini a Roma.

Venere di Willendorf, 25.000 a-C., pietra calcarea, 
Naturhistorisches Museum, Vienna
Venere di Savignano, 35.000 a.C., serpentino,
Museo Nazionale Preistorico Etnografico Pigorini, Roma.

Danzatrice nuda, II sec. a.C., affresco, Pompei
E ancora la stessa tipologia di donna burrosa, seppur priva di un’esagerazione così pronunciata si può riscontrare cavalcando i secoli, nella statuaria greca e romana, nonché negli affreschi: a Pompei, tra le diverse pitture murali, ne spuntano alcune che inneggiano ad una donna proporzionata nelle forme ma dal fondoschiena ben pronunciato, così come le cosce.

Infatti, si può ben dire che la donna ideale, dalle civiltà classiche sino ai primi anni dell’arte contemporanea, abbia sempre presentato quelle rotondità così dolci e morbide, da relegare al corpo un senso di divinità, tanto ambito dai pittori.

Cosa riscontrabile percorrendo i secoli a cavalcate lunghe, nel Ratto di Proserpina del Bernini, sito a Galleria Borghese: le mani con cui Plutone afferra Proserpina con impeto, si affossano nelle carni della fanciulla, dando a chi la ammira, una sorta di sensazione per cui il marmo si trasforma in una materia malleabile e plastica.

G. Bernini, Ratto di Proserpina, 1621 - 1622,
marmo, Galleria Borghese, Roma. 
G. Bernini, Ratto di Proserpina, particolare. 

Di lì a due secoli, passando per un Settecento, per lo più rigoroso e rococò nelle sue vesti, negli artifizi esagerati delle parrucche, dei pizzi e dei merletti, l’Ottocento vide l’esploit della grassezza nella figura della bagnante, un tema affrontato da diversi pittori, tra cui Ingres e Renoir.

Il bagno turco di Ingres è un’apoteosi alla morbidezza delle donne che, lontane dagli occhi degli uomini, si confidano segreti, si denudano e lasciano respirare la loro pelle candida. Ovunque è sinuosità; ognuna di loro con un movimento, una posizione, disegna le curve perfette per la società di allora, che vedeva nella donna dipinta elementi di soprannaturalità.

Allo stesso modo la bagnante bionda di Renoir racconta la dolcezza infinita dell’adolescente dal seno prosperoso e dal fisico gonfio, in un atteggiamento tanto regale nella sua nudità quanto leggermente pudico nell’accostamento del lenzuolo sulle gambe.

J.A.D. Ingres, Il bagno turco, 1862, olio su tavola,
Museo del Louvre, Parigi. 
P.A. Renoir, La bagnante bionda, 1881, olio su tela,
Musèe d'Orsay, Parigi. 

E poi arrivando ai giorni nostri, in una sempre più assottigliata visione della donna, sino a plasmarle un corpo perfetto e delicato, si inserisce la visione allargata di Botero, che tocca le donne così come gli uomini, gli animali così come gli oggetti; una visione di allargamento spropositato di cose e persone quasi a fare da scudo ad ogni sorta di malessere o imprevisto che ognuno dei ritratti può incontrare nel corso della propria vita. 


F. Botero, Ballerina alla sbarra, 1988, olio su tela,
Guggenheim Museum, New York. 
F. Botero, Donna nel bagno, 2000, olio su tela. 

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