venerdì 20 settembre 2013

Il caratteraccio di Caravaggio

Nella storia di Beatrice Cenci, la nobildonna decapitata per parricidio nel 1599, raccontavo della presenza sulla scena dell’esecuzione, di Caravaggio ed Orazio Gentileschi assieme all’allora piccola Artemisia. Pittori questi due, che avrebbero portato la poetica caravaggesca a Napoli e nel meridione, godendo così di una non indifferente fortuna critica.

Ma così come Orazio Gentileschi, anche altri artisti della Roma di fine ‘500 – inizio ‘600 erano grandi amici del pittore lombardo arrivato nella capitale nel 1596: è possibile anzi affermare, che la personalità complessa e geniale di Caravaggio non lasciava adito a mezze misure. O lo si amava, o lo si odiava. E per tanti che lo ammiravano e ne riconoscevano il genio, tanti altri lo odiavano e provavano un invidia spropositata verso di lui, tanto da artefare il proprio il giudizio in merito alle pitture del grande artista.

G. Baglione, bozzetto de' La Resurrezione,
1600 ca, Museo del Louvre, Parigi.  
Esempio eclatante di quanto affermato è riscontrabile per esempio, nella chiamata a processo da parte di Giovanni Baglione, nei confronti di Caravaggio, con l’accusa di vilipendio e diffamazione.

La storia è presto raccontata: ammirando una grande pala d'altare raffigurante una Resurrezione per la Chiesa del Gesù, - oggi perduta, ma nota attraverso un bozzetto custodito al Louvre – opera del Baglione, i due pittori Orazio Gentileschi e Caravaggio rimasero così disgustati dalla composizione dell’opera, che arrivarono a comporre un libello di poesie scurrili e diffamatorie nei suoi confronti. 

Quindi grazie a Tommaso Salini, detto Mao, pittore, amico e seguace del Baglione, pure lui preso di mira in una delle satire, che riuscì in modo infimo a procurarsi una copia del libello, arruffianandosi Filippo Trisegniil Baglione denunciò i due artisti, insieme ai compagni Onorio Longhi e lo stesso Trisegni, rei di aver collaborato alla diffusione delle offese per le vie di Roma: Caravaggio però, protetto da cardinali, che amavano follemente la sua pittura, se la cavò soltanto con un mese di prigione.

G. Baglione, Autoritratto, 1610, olio su tela,
Accademia di San Luca, Roma.
Grande fu il rammarico, probabilmente del Baglione quindi, che osava ribadire spesso quanto Michelangelo Merisi fosse un uomo satirico ed altero, che parlava male di tutti i suoi colleghi anche dinanzi al loro cospetto, sicuro e tronfio del fatto che il suo genio fosse così apprezzato nella Roma che gli aveva aperto le porte. E che ancora, col suo modo di fare accademico sbagliato, aveva spinto i suoi seguaci a disegnare dal vero senza curarsi dello studio dei fondamenti del disegno, smontando così l’aulicità appartenente all’arte.

Un lato del pittore probabilmente veritiero, testimoniato anche da uno dei suoi ammiratori più fedeli nonché primo biografo della vita del Caravaggio, l‘olandese Carel Van Mander, che lo descriveva come un attaccabrighe, dedito poco al lavoro e molto alle baruffe. Non di rado infatti, pare che facesse lo spavaldo con il suo spadino per le vie del centro di Roma, seguito dai suoi fedelissimi amici pittori, tra cui spiccava Carlo Saraceni, artista di origini venete, narcisista, sempre elegante e così ammiratore di Michelangelo Merisi, che pendeva puntualmente dalla sua bocca e chiamò il suo cane Cornacchia, come quello di Caravaggio.

O. Leoni, Ritratto di Caravaggio, 1621,
matita su carta, Biblioteca Marucelliana, Firenze. 
Ma l’atteggiamento iracondo di quel pittore descritto come un uomo trasandato, sporco e barbuto, dal tabarro e le vesti nere e dalla parlata bergamasca, temuto da tutti ed allo stesso tempo amato, invidiato e rispettato, non portò a nulla di buono, se non all’omicidio di Ranuccio Tommasoni nel 1606, dopo una disputa avvenuta a causa di un fallo contestato in una partita di pallacorda.

Un omicidio che non fece altro che accrescere la leggenda secondo cui Michelangelo fosse partito giovincello alla volta di Roma per volere dei suoi, che volevano allontanarlo in quanto, nella sua terra, aveva ucciso accidentalmente un suo pari durante un litigio; culmine di un atteggiamento che lo ha consacrato come genio ribelle e maledettamente anticonformista, e che per alcuni versi ha sancito la sua fortuna critica, dalla sua morte sino a noi.

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