domenica 8 settembre 2013

Fontana di R MUTT come esempio di arte concettuale

La sostanziale differenza tra l’arte moderna e quella contemporanea, sta nell’individuare la peculiarità del genio che le ha caratterizzate. L’arte moderna vede l’exploit di un genio accademico ed imitatore della natura, un genio che tende alla perfezione, che esagera negli artefizi e straborda nei particolari; l’arte contemporanea è da identificarsi in un genio che studia le scienze e le applica a questa, lavorando di concetti ancorché di maestria, come meglio spiegato nella svirgolettata L'arte tra accademismo e concetto.

È premettendo questo, che è possibile delineare l’importanza della Fontana di Marcel Duchamp, autore del ready-made sotto lo pseudonimo di R Mutt.
La dicotomia di pensieri soggetti all’analisi ed alla valutazione di questa opera d’arte non è da trascurare. Personalmente mi è accaduto di partecipare a discussioni dove da un lato qualcuno elogiava il genio di Duchamp e dall’altro qualcun altro, probabilmente amante dell'arte moderna anziché contemporanea, lo metteva alla berlina.
La domanda focale della discussione era: Duchamp è un genio, un provocatore o è solo un tizio X che capovolgendo un orinatoio si è trovato ad esser celebrato dalla critica contemporanea?

J. Pollock, Convergence, 1952, olio su tela,
Albright Knox Art Gallery, Buffalo. 
Non esiste una risposta definitiva, un’assoluta verità, perché l’unica certezza che riguarda l’arte è che il gusto con cui viene giudicata è soggettivo. C’è chi ama Caravaggio e versa lacrime davanti alla Giuditta e Oloferne, collocata a Palazzo Barberini a Roma e c’è chi non ne apprezza il genio. C’è chi sente la tensione e l’emozione resi dall’irruenza dei colori e degli schizzi di una composizione pollockiana, e chi crede che anche sua sorella di tre anni potrebbe fare tanto, se non meglio.

Quindi perché accettare come assoluta verità che Duchamp sia un genio anziché no?
La risposta a mio giudizio è da riscontrarsi nel modo in cui si vede l’opera, nel modo in cui la si contestualizza e la si analizza. Non bisogna mai fermarsi all’idea primordiale che abbiamo di un artista o di un’opera, al suo significato primo o al nostro mero gusto estetico. La giusta via per interpretare in modo lineare e il più possibile veritiero, sta nel metter da parte le nostre convinzioni e cercare la chiave di volta – o di svolta – che dia il la ai chiarimenti necessari.

M. Ray, Cadeau, 1972 (replica dell'originale
del 1921), ferro, Tate, Londra. 
Nel caso della Fontana di Duchamp, la contestualizzazione storico-sociale e la ricerca del significato dell’opera sono fondamentali per capire il processo di fortuna critica che questa ha avuto.  
Nel 1917, già da un anno si andava delineando una nuova corrente, il Dadaismo, una corrente che apportò alla storia dell’arte novità eclatanti: per la prima volta arte era tutto e non era nulla, per la prima volta lo sgomento e il disagio erano creati non attraverso un uso innovativo dei colori o attraverso nuovi tecnicismi e nuove composizioni affatto accademiche, ma attraverso i ready – made, ricomposizioni o  fusioni, spesso con fare provocatorio, di oggetti che, se presi individualmente avevano una loro funzione, come un ferro da stiro e dei chiodi, ma se fusi tra loro portavano ad un disagio esistenziale nell’utente. 
Il Cadeau, di Man Ray, non era altro che un ferro da stiro con impiantati dei chiodi sul verso.

G. Klimt, Judith II, 1909,
pittura su tavola,
Galleria Internazionale
d'Arte moderna, Venezia
In quell’anno Duchamp decide d’esporre l’orinatoio di porcellana alla Società degli artisti indipendenti a New York sotto lo pseudonimo R Mutt, preso del desiderio di sconvolgere l’istituzione.
Come immaginabile, ovviamente le previsioni dell’artista furono confermate: la Fontana fu inizialmente rifiutata prima dai giudici, che non sapevano come collocare una simile opera fuori dagli schemi  anche per un salone dal sapore innovativo, poi dalla critica e da una società non ancora pronta a questi apporti.

Una fotografia di questa, fu tuttavia pubblicata sulla rivista «The Blind Man», edita dallo stesso Duchamp, il quale, fingendo di difendere l’ignoto autore dell’opera, scrisse:
“Non è importante se Mr. Mutt abbia fatto Fontana con le sue mani o no. Egli l’ha scelta. Egli ha preso un articolo ordinario della vita di ogni giorno, lo ha collocato in modo tale che il suo significato d’uso è scomparso sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista – ha creato un nuovo modo di pensare quell’oggetto”.

Cosa significa tutto questo?
Innanzitutto sarebbe auspicabile analizzare la validità dello pseudonimo. Perché R. Mutt tra una miriade di possibili pseudonimi? È un caso?
R.Mutt, racchiude la chiave di lettura dell’opera, essendo l’anagramma della prima riconduzione all’opera. Anteponendo il cognome all’iniziale del nome, R, abbiamo la parola Mutter, che significa madre, in tedesco. 

La Fontana, con la sua firma che anagrammata da la fonesi di Mutter, riprende il concetto della Terra Madre che prolifera, - vedi la Venere di Willendorf , la Venere di Savignano -  dimostrando che questo non si perde nei secoli, ma anzi, addirittura si evolve e si modifica nella geometrizzazione dell’organo che ha le fattezze approssimative di un triangolo smussato quale la Fontana, così come farà Klimt nelle sue tavole, i cui triangoli e rettangoli diventano il simbolo degli organi genitali femminili e maschili.

Ancora, soffermiamoci sul significato che Duchamp da al ready-made:  prendere un articolo ordinario della vita di ogni giorno e collocarlo in modo tale che il suo significato d’uso scompare sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista,  così da creare un nuovo modo di pensare quell’oggetto.

M. Duchamp, Fontana, 1917 /1964, ceramica,
Galleria d'Arte Moderna, Roma.  
Questo concetto ben si esplica nell’orinatoio divenuto Fontana.
L’orinatoio è un oggetto atto a  ricevere l’urina espulsa dal nostro corpo: una sostanza che ha perso della sua organicità, che non ha alcun valore, che non è necessaria al nostro organismo, tanto che questa la espelle. Traslando l’orinatoio, sino a trasformarlo in fontana, non solo si vede l’oggetto sotto un nuovo punto di vista, ma gli si da una nuova funzione diametralmente opposta: lo stesso oggetto, adesso è utilizzabile come dispensatore di acqua, linfa vitale per il nostro organismo. Non più riceve, ma da.

L’orinatoio originale utilizzato da Duchamp stranamente andò smarrito quando fu smontata la mostra nel 1917. Solo nel 1964 Duchamp autorizzò una replica di quel suo ready-made che fu acquistata dal collezionista milanese Arturo Schwarz. Da qualche anno esso è esposto nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Dei diversi ready-made da lui realizzati, questo rimane di certo il più provocatorio ed irridente al mondo dell’arte. Opera che segna un punto di non ritorno: accettarla tra i capolavori d’arte significa essere disponibili al gioco ironico del non prendersi mai sul serio.

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