mercoledì 24 luglio 2013

L'arte tra fatturati di mostre e fumettistica: ragionamenti "facebookiani" a riguardo

L’idea mi frullava in testa già da qualche tempo, ma avendo recentemente discusso su due fronti diversi circa la fruibilità dell’arte e quali stili e generi che le appartengono, forse è giunto il tempo di buttar giù due righe a riguardo. Le due domande cardine a cui vorrei arrivare a dar risposta in questo articolo sono inerenti infatti a questi due fattori di non poco conto; sarebbe un passo in avanti senza dubbio, delineare una sorta di pensiero filosofico volto a individuare una volta per tutte, i criteri necessari per definire l’arte democratica anziché elitaria, nonché il suo scopo nella società.

Ma andiamo per gradi.
Una delle due discussioni affrontate, riguardava il fatturato economico di una mostra artistica, rapportato (ovviamente) alla sua fruizione. Nello specifico, la mia amica Fiorella, laureata in Scienze dei beni culturali a Bari, stesso corso di laurea del sottoscritto, risentiva del fatto che si dovesse organizzare una collettiva di arte giapponese, in un paese sperduto e inaccessibile della provincia leccese. A suo dire la scelta era alquanto ardita e inconsueta; far una cosa del genere avrebbe indotto automaticamente a relegare i curatori della mostra quali insani di mente.

La notizia ha scosso piacevolmente i miei neuroni: ricordando che l’anno scorso, mentre ero in vacanza proprio nel basso Salento, avevo assistito ad un concerto di un gruppo della Val di Non, nella piazza di Tiggiano, mi son chiesto come mai tanto sconforto. La mia risposta quindi è stata “Se si vuole, si può fare”. Una risposta non convincente evidentemente perché l’idea di arte di Fiorella discostava dalla mia; a suo parere infatti non avrebbe senso organizzare una mostra se questa poi non fosse fruibile da un gruppo quantitativamente concreto.

Questa motivazione senza dubbio mi ha indotto a riflettere ancora. Dal mio punto di vista infatti, lo scopo di una mostra artistica è quello di educare e formare; se anche solo una persona assisterà alla mostra suddetta, per quanto dislocata nel più anfratto dei territori, allora l'averla allestita saranno stati tempo ed energia ben spesi. Perché il singolo fa numero, sempre se vogliamo ragionare da storici dell’arte, anziché da economisti.

Claudia, creazione di Milo Manara. 
La seconda discussione affrontata, riguardava un quesito posto dal mio amico Leonardo, che postando un’opera di Milo Manara, (disegnatore e fumettista, specializzato in soggetti erotici), induceva a far considerazioni sull’etichettatura di questa quale opera d’arte o meno.

Ora, individuando la specializzazione di Manara, nel fumetto, questo è riconosciuto tecnicamente come “linguaggio costituito da più codici, tra i quali si distinguono principalmente quelli del testo  e dell'immagine, i quali insieme generano la categoria della temporalità"; definito da Hugo Pratt quale “letteratura disegnata” e da Will Eisner, quale “arte sequenziale”.

Quanto detto dai due geni è opinabile ma sicuramente accettabile; d’altronde una cosa non esclude l’altra: il fumetto è connubio di letteratura e arte; forse è proprio arte per il popolo, come ho avuto modo di contestualizzare nell’articolo scritto a quattro mani con l’amico Ottavio, blogger di Breadcrumbs, in cui argomentavo una retrospettiva su Lichtenstein al Tate Modern di Londra.

R. Lichtenstein, That's the way, 1968, pittura su tela,
Kunsthalle, Berna. 
Rispondendo direttamente al quesito, probabilmente la verità, come nella maggior parte delle disquisizioni, sta nel mezzo. "L'arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte", diceva il filosofo Dino Formaggio, per cui il fumetto di Manara sarebbe arte, giusto solo per il fatto che Leonardo ed altri che la pensano come lui l’ha definito tale; "Quando tutto è arte niente è arte" rispondeva però, poi, Bruno Munari, artista designer, smontando i castelli costruiti. 

Dov'è la verità? La verità forse è che questo argomento è così sottile che non si può inquadrarlo in uno schieramento. O almeno non oggettivamente; soggettivamente ognuno di noi può scegliere se relegare al fumetto un'impostazione accademica che lo inquadra come figlio della letteratura, consegnarle un valore artistico secondo l'impostazione democratica "formaggiana" o invece, fare del fumetto, ma dell’arte in genere, una materia estremamente elitaria, secondo lo stampo "munariano".

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