martedì 2 aprile 2013

Morir della propria gloria: Isadora Duncan

In un momento di riscoperta dei primi due decenni del Novecento, affascinato sempre più dal rapporto indiretto avuto negli ultimi tempi coi protagonisti della storia mondiale di quegli anni, (vedi articoli Midnight in Paris; Pamela Bianco; Rimedi per la cura all'invecchiamento direttamente dal 1915), ragionando sul rapporto armonioso che configura musica, arte e spettacolo, non ho potuto esimermi dal raccontare la figura della danzatrice Isadora Duncan.

Pseudonimo di Dora Angela, Isadora (classe 1877) fu una danzatrice statunitense, che rivoluzionò il concetto di danza sino al punto di avviare il nuovo processo di formazione della danza moderna.
Nel pieno clima del Positivismo, dell’Avanguardia e degli Anni ruggenti, la Duncan rivelò una dicotomia notevole nel suo vissuto: se da una parte, si rese moderna essendo una donna emancipata ed ebbe intense relazioni affettive, (tra cui quella con il poeta Sergej Esenin, che sposò, ma di cui rimase vedova dopo soli tre anni), dall’altra la sua figura fu connotata da un forte tradizionalismo artistico, essendo ella molto impostata e “fisicamente educata” per via della sua formazione classica.

Isadora Duncan durante un'esibizione
Essendo californiana di nascita le sue prime esibizioni si svolsero negli Stati Uniti, verso la fine dell'Ottocento. Esibizioni connotate da qualche incertezza, nel pieno di un accademismo che ancora non aveva lasciato spazio all’innovazione: forse proprio per questo non furono molto apprezzate. 
Poi nel 1900 si trasferì e danzò prima a Londra poi nel resto d’Europa, dove a contatto con il nuovo clima positivista volto ad una maniera moderna di intendere le arti,  si aprì ad una lunga serie di esibizioni, che le valsero l'ammirazione di molti artisti e intellettuali dell'epoca.

E fu proprio l’idea che anche il ballo dovesse modernizzarsi così come le arti, che le permise di effettuare una radicale rottura nei confronti della danza classica di stampo accademico: convinta che le imbragature dei costumi pesanti previsti da tale danza, non permettessero la libertà e l'espressività dei movimenti, abolì nei propri spettacoli le scarpette a punta, preferendo spesso di ballare a piedi nudi e gli artificiosi abiti, sostituiti da veli e stoffe semplici e leggeri, che ricordavano il peplo dell'antica Grecia.



G. Klimt, Judith II, 1909,
pittura su tavola,
Galleria Internazionale
d'Arte Moderna, Venezia. 
Le sue decisioni, per nulla immotivate e sensate, le procurarono una fortuna critica notevole ed il riconoscimento di diverse compagnie di ballo di altissimi livelli come la compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djaghilev, tanto che agli albori della Rivoluzione Bolscevica, la Duncan su invito di Lenin, tornò in Russia per aprire una scuola di danza a Mosca.


Le innovazioni da lei apportate ovviamente non riguardarono solo un riassestamento della danza a livello generico. Spinta dall’intuito che era possibile creare una nuova forma di arte attraverso la danza,  tentò di tramutare la linea tipica della nuova corrente artistica europea dell’Art Nouveau in una serie di movimenti atti a tradurre in linguaggio del corpo, proprio le linee serpentinate ed ondulate, con tratto a frusta, usate dagli artisti del tempo come Mucha, Beardsley e Klimt. 

Le sue "danze libere", coadiuvate da una sensualità estrema e dall’utilizzo ingegnoso di sciarpe e veli lunghi e leggiadri a creare movimenti ondulati nell’aria, le valsero la piena affermazione e l’idolatria del popolo, che la riconobbe una della figure più note del mondo di allora.

Ma fu proprio l’oggetto della sua fama e gloria ad ucciderla.
Isadora Duncan infatti morì tragicamente all’apice del successo, strangolata da quella sciarpa che le era valsa la notorietà e l’aveva rilegata tra le figure di spicco dell’Europa degli Anni Venti.

Infatti, per uno strano caso del destino, proprio quella sciarpa impigliandosi nei raggi delle ruote dell'automobile da corsa Bugatti sulla quale la Duncan era appena salita, la strangolò lasciandola esanime sulla vettura in corsa per le strade di Nizza, nel ricordo dell’ultima frase esclamata dalla diva prima di partire: “Adieu, mes amis. Je vais à la gloire!” [ Addio, amici, vado verso la gloria!]

Isadora Duncan


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