martedì 30 aprile 2013

L'idea dell'artisticità di un panorama "monumentale"


Una delle azioni del turista medio, che da storico dell’arte in erba ancora sto cercando di inquadrare, è quella di salire in cima agli edifici più alti e caratteristici della città visitata, relegando ad essa un senso di artisticità.
Tra le certezze della vita infatti vi è quella per cui, il percorso previsto per arrivare sin nella lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, o di San Pietro a Roma, non rimarrà mai privo di adepti.

Panorama di Firenze, visto dalla Cupola di S.Maria del Fiore
Ma cosa spinge il turista a far ore di fila per poter guardare la città da quel punto di vista?

Interrogando me stesso, e a dir la verità, porgendo la domanda anche a qualche amico per creare una discussione sull'argomento, ho cercato di inquadrare il fenomeno, tentando di capire in che modo il tanto agognato desiderio, toccasse la sfera artistica insita in ognuno di noi ed allo stesso tempo quanto la cosa,  potesse però effettivamente essere considerata oggettivamente “artistica”. 

Mi spiegherò meglio. Sono sempre più convinto che il turista si senta spinto a raggiungere le alture delle torri, delle cupole, degli edifici in genere, quasi come se quello fosse il culmine di un iter artistico intrapreso con la visita della struttura in questione: chi ammira l’interno dell’Altare della Patria o di Castel Sant’Angelo, può scegliere di andare via, oppure può scegliere di salire sulla cima per poterne ammirare il panorama. Fare la seconda cosa però, implica nella psiche del turista, l’idea di completare un percorso artistico, perché il luogo in cui si esplica è tale.

Panorama di Roma dalla terrazza dell'Altare della Patria
È anche vero però, che questa arida visione dei fatti, senza dubbio cinica e poco fiduciosa nei confronti di un’intelligenza di base del profano in arte, può collimare con una considerazione di stampo più analitico.

Infatti, provando ad inquadrare in modo lungimirante il mero gesto, alla fine della fiera, una volta in cima al luogo designato, ciò che tendenzialmente si apre alla vista del visitatore è comunque un aspetto della città, che non può essere contemplato da altri punti di vista.

Panorama di Parigi, dalla Tour Eiffel
Per cui, chi attende per ore di salire sulla Torre Eiffel, alla fine sicuramente avrà del luogo circostante una visione a 360° della città, che certamente non potrà avere da qualunque altra altura di Parigi.

E a detta di ciò, su un discorso prettamente inerente alle idee di stampo architettonico – compositivo,  spesso bisogna anche ammettere che determinati scorci e inquadrature si possono ottenere solo da un determinato punto di vista specifico designato, come nel caso della serratura del cancello del Priorato, nel Giardino degli Aranci sul Gianicolo, dal quale è ammirabile la cupola di San Pietro.

Cupola di S. Pietro, visto dalla serratura del Giardino degli Aranci
Quando vale questa teoria, la mia tesi cade, anzi mi si ritorce contro: è vero che il gesto di salire in una specifica altura non è esso stesso, gesto artistico, ma è anche vero che questo, porta ad una visualizzazione prospettica e studiata del paesaggio, configurando quell’azione come artistica.

In realtà se c’è qualcosa che ho capito ragionando su quest’argomento, è che probabilmente l’associazione dell’artisticità al panorama visibile dall’altura di un edificio artistico, è altamente soggettiva.

E probabilmente non c’è una verità assoluta, perché esulando dai tecnicismi e dagli stereotipi, in fondo l’arte è tutto ciò che emoziona; e quindi se l’idea di ammirare un paesaggio dalla terrazza di un monumento, porta il visitatore a provare emozioni più per il luogo in cui si trova che per quanto vede, allora comunque ben venga, che in qualche modo, sia riconosciuta artisticità a quella situazione. 

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