mercoledì 13 marzo 2013

Perizia di un'opera d'arte


La consapevolezza che l’Italia fosse il paese dell’Arte non è cosa risaputa dall’alba dei tempi. Il fatto che la prima legge di tutela che garantisse le opere d’arte italiane fosse stilata nel 1902, lo dimostra bene.
Proprio quelli, erano gli anni in cui, venendo stilato il Catalogo Nazionale delle cose artistiche in Italia, i letterati, i cultori d’arte, scoprendo opere di grandi artisti inedite al mondo e dichiarate dai privati, dedicavano a queste le prime pubblicazioni.
Sono questi gli anni in cui prendono vita i saggi di eccellenze come Morelli, Cavalcaselle, Crowe, Ricci, prima; Toesca, Cavenaghi, Argan, Longhi poi.

Tra le personalità geniali responsabilizzate ad una dettagliata Catalogazione, vi erano i Sovrintendenti: cariche istituite nel 1907, per poter gestire l’esecutivo, su scala nazionale.
In base a quanto suddetto, non era raro che i Sovrintendenti nelle loro ricognizioni e nelle loro ispezioni dell’entroterra regionale, scovassero perle rare nelle badie e nelle pievi diroccate sui monti, o nei palazzi centralissimi delle città: proprio nelle gite alla rivalutazione di opere d’arte possedute dai nobili, spesso ci si ritrovava a dover confermare l’appartenenza di queste a Tintoretto, Tiziano o Caravaggio, e ancora capitava che magari la presenza di un’opera d’arte in un territorio che non si sapeva toccato dall’iter dell’artista a cui si attribuiva il quadro, aprisse ad una nuova visione dell'arte.

Quando il Sovrintendente o lo storico dell’arte (figura retorica perché la storia dell’arte era inglobata nella laurea in Lettere) si ritrovava ad esaminare un’opera, era suo compito stilare una perizia ufficiale di quanto visto. Era persona competente il Sovrintendente, che solitamente conosceva così bene lo stile e la tecnica dei più grandi pittori e scultori, che ad occhio, dalle svirgolettate, dalla resa anatomica delle figure, dai colori, riusciva ad individuare se non l’artista, almeno la scuola a cui apparteneva l’esecutore del dipinto o della scultura.
I criteri sui quali si faceva affidamento per il giudizio ufficiale erano diversi, disparati e molto difficili, il che rendeva poche volte oggettivo il giudizio stesso: è anche per questo se, ad oggi, si studia la critica d’arte per aver una visione a 360° di un bene culturale sul quale non ci sono fonti certe.

A seguire, riporterò una perizia stilata da Giulio Cantalamessa, Sovrintendente alle Gallerie ed ai Musei Medievali e Moderni del Lazio e degli Abruzzi: questo era il responsabile della gestione dei beni culturali di Roma e di mezzo regno pontificio di un tempo; era un uomo in gamba che non di rado decideva di proprio pugno di intraprendere restauri ai dipinti che ne necessitavano e di acquistare, trasferire e depositare opere nei diversi musei dell’allora Regno d’Italia.
Nella perizia, è descritto un quadro a soggetto mitologico, che il Cantalamessa attribuisce al Verrocchio. Dal testo è possibile capire quanta incertezza potesse appartenere in un periodo in cui la scienza non poteva fugare ogni dubbio sull’autenticità ma anche quanta passione, accompagnasse, lettera per lettera, quella descrizione.  


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