lunedì 11 marzo 2013

I disastri creati da un uovo, sulle tele di Caravaggio in San Luigi dei Francesi


La delicatezza con cui solitamente si va ad agire su un restauro, decisamente diventa maggiore quando le opere d’arte protagoniste di tali operazioni sono sotto la giurisdizione di uno stato estero, come per esempio, nel caso delle tele della Cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

Proprio le tre tele di Caravaggio de La Vocazione di San Matteo, San Matteo e l’Angelo ed Il Martirio di San Matteo, che costituiscono un trittico meraviglioso sito nella Cappella dedicata al santo effigiato nelle opere, sono le protagoniste indiscusse di una storia inverosimile, che farebbe rabbrividire qualunque storico dell’arte. Una storia di nicchia, bloccata in un faldone d’archivio che raccoglie i restauri di quei quadri avvenuti ad opera del restauratore Tito Venturini Papari.

La storia ha inizio nel 1920, quando, il Sovrintendente alle Gallerie ed ai Musei medievali e moderni ed agli oggetti d’arte del Lazio e degli Abruzzi, comandò al restauratore succitato, di stilare una relazione sulle condizioni effettive dei tre olio su tela commissionati all’artista lombardo nel 1600; una relazione che non senza un velo di drammaticità rivelò lo staccamento della verniciatura dal supporto, che si esplicava nella dimostrazione di macchie bianche su tutta la tela.

Il passo successivo, quello più delicato perché consisteva nell’ottenere l’approvazione ai restauri dei dipinti da parte del Presidente delle Strutture francesi a Roma, portò ad un risultato dicotomico: se da un lato, con l’effettiva approvazione ricevuta, lo Stato italiano vinse la battaglia portata avanti dall’Hermanin (il Sovrintendente di allora) atta a dimostrare che l’Italia doveva essere la tutrice di tali opere presenti su territorio nazionale per quanto giuridicamente straniere, dall’altro, nel riscontrare le cause di quel deterioramento repentino, lo Stato Francese  rivelò un’amara verità, che aveva inizio solo un anno prima.

L’ambasciatore francese Barrère infatti, in una nota destinata al Ministero della Pubblica Istruzione, nell’analisi delle motivazioni che portavano lo Stato francese a concedere a spese dello Stato Italiano il restauro delle opere caravaggesche, ricordava che nel mese di maggio del 1919 il professor Antonio Munoz, Sovrintendente ai Monumenti in Roma, aveva chiesto proprio allo Stato Francese l’autorizzazione di far fotografare i dipinti di Caravaggio, in vista di un lavoro che egli stava preparando sull’artista.
Fin qui nulla di sconvolgente se non fosse che, dopo aver ottenuto tale permesso, assoldò il fotografo Pompeo Sansaini per tale lavoro.

Questo, com’era solito fare per le fotografie di stampo artistico, dopo aver creato un gioco di luci attraverso specchi posizionati in punti strategici della cappella, coprì le tele con albume d’uovo al fine di renderle predisposte ad una resa maggiore della fotografia.
A riproduzioni create, il Sansaini prese il compenso delle foto e chiuse così l’iter inerente a quel lavoro, dimenticando nella maniera più assurda ed aberrante, di togliere lo strato d’albume dopo le fotografie scattate, permettendo così facendo, la produzione delle macchie bianche presenti.

In seguito all’accaduto, il Sovrintendente Munoz, quando fu interrogato circa la spiacevole situazione,  rispose che aveva solo accompagnato Sansoino nella Chiesa e che quindi poi, andando via, rimase estraneo alla tecnica che questo aveva adoperato per ottenerle. Pertanto dichiarò che non era colpevole della cosa, riponendo ogni responsabilità sulla figura del fotografo.
Fortunatamente a porre rimedio allo scempio ci pensò nel 1922 Venturini Papari, grazie al quale le tele si sono mantenute per ancora trent’anni, sino ai restauri effettuati dall’ICR nei primi anni ’50. 


Le tre tele de' La vocazione di S. Matteo, S. Matteo e l'Angelo e Il martirio di S. Matteo, nella Cappella Contarelli a Roma. 


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