domenica 10 febbraio 2013

Joseph Beuys: la performance nel rapporto tra corpo e ambiente, come opera d'arte


Il corpo umano nella storia dell’arte ha sempre giocato un ruolo primario.
Se le prime forme d’arte erano rappresentazioni statuarie della Madre Terra fecondatrice, donne burrose con sederi e seni prosperosi, con l’evolversi dell’uomo da individuo appartenente a tribù ad individuo appartenente ad una società civile basata su regole e leggi, si fa sempre più preponderante l’importanza della raffigurazione dell’essere umano, prima nelle pitture murarie delle civiltà primordiali e poi nelle tavole, negli affreschi e nelle tele dei periodi a seguire.

Nel Novecento però, oltre alla rappresentazione del corpo umano, che continua ad essere un soggetto onnipresente nelle opere, con l’avvento della forma d’arte definita performance, è l’uomo stesso a divenire opera d’arte.
Opera d’arte "volatile", termine con cui si indica un bene non materiale: la performance solitamente non prevede ripetizioni è può essere custodita, conservata, tramandata solo tramite l’apporto di materiale multimediale (fotografie, video, tracce audio).

Una performance è data da una serie di azioni compiute in un tempo indeterminato e in uno spazio non circoscritto, attraverso le quali il performer, utilizzando a discrezione oggetti o facendosi aiutare da altre persone, che diventano performer anch’esse, intende lanciare un messaggio.
Senza dubbio una delle performances più significative del XX secolo, appartiene ad un artista tedesco – e la cosa non è casuale, perché la Germania diventa una delle nazioni in cui è più forte l’apporto di innovazioni artistiche dal secondo dopoguerra – tal Joseph Beuys.

Per quanto Beuys fosse stato caldamente invitato ad esporre in America, che lo riconosceva performer ed artista d’eccezione, egli si era sempre rifiutato, adducendo come motivazione che l’America non avrebbe goduto della sua figura finché non avrebbe ritirato le sue truppe dal Vietnam.
Nel 1974, finalmente l’epico incontro poteva avvenire; Beuys accettò di esporre a New York, nella sede della galleria tedesca René Block.

La performance I like America and America likes me cominciò già  all’aeroporto: all’arrivo Beuys si era avvolto per intero in una grande coperta di feltro e si era fatto trasportare con un’autoambulanza direttamente nella galleria sita in West Brodway.
Qui, visse per una settimana nello stanzone della galleria insieme ad un coyote, stabilendo con l’animale un approccio progressivo nel tempo.



J. Beuys, I like America and America likes me, 1974, installazione performativa, Galleria di Renè Block, New York 


Qui si pone la prima domanda: perché approcciare un coyote, avvolto da una coperta?
Il coyote è il simbolo dell’America; è uno di quei classici animali che caratterizzano il paese in cui abitano, un po’ come il canguro per l’Australia. Beyus con la coperta ed un bastone, i mezzi con cui proteggeva il suo essere dall’aggressione esterna, non necessariamente fisica quanto mentale, si aggirava circospetto nello spazio alla scoperta di un luogo diverso, di una nuova dimensione antropologica quale un nuovo paese, con una cultura diversa, un popolo diverso e regole diverse, misurando il proprio movimento su quello imprevedibile dell’animale.

La performance si concluse nel momento in cui il coyote e l’artista, America e Beuys ma anche natura e cultura, stabilirono un contatto. Solo allora Beuys si liberò della propria copertura, lasciando cadere coperta e bastone. E a seguire cominciò l’incontro di Beyus con gli artisti americani, coi gruppi femministi e con gli studenti, attraverso dibattiti e discussioni.

Il significato intrinseco della sua performance, stava proprio in quello che sarebbe accaduto dopo: permettere che l’arte prendesse parola, che il popolo ne prendesse coscienza e che la creatività potesse trovare il modo in cui fluire nella comunicazione sociale. 

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