venerdì 1 febbraio 2013

Henri Matisse - Albero vicino al laghetto Trivaux


Il viaggio in Marocco, che l’artista affrontò con sua moglie Amelie nel 1912, apre una seconda fase dell'arte matissiana. 
Matisse non aveva scelto il Marocco a caso: il paese che si affaccia sull’Oceano Atlantico, si prestava molto a quella che era l’esigenza dell’artista di riscoprire nuovi paesaggi e soprattutto una nuova luce, meno violenta di quella nordica di Colliure, dove aveva soggiornato per qualche tempo.

L’esperienza in Marocco si rivelò positiva per Matisse. Egli rimase da subito affascinato dalla vegetazione e dalla luce. Particolarmente suggestivo ai suoi occhi fu l’effetto luminoso che si creava durante l’evaporazione dell’acqua sulla terra bagnata, a causa del sole rovente che batteva su di essa.  
Tra le prime esperienze legate al paesaggio, ascrivibili al periodo marocchino, ritroviamo lo studio della pianta d’acanto, che egli aveva già affrontato in accademia, ma mai dal vivo. Proprio l’acanto, assieme alle pervinche ed alla palma, da vita ad uno pseudo trittico, il Trittico del giardino marocchino, opera destinata ad uno dei suoi committenti, il magnate russo Morosov, che gli aveva tempo addietro commissionato due paesaggi.

Le forme de  Gli acanti, Le pervinche e La palma, riconducono a La Gioia di vivere nella stesura del colore in campiture larghe e nell’utilizzo di colori alquanto vivi per la vegetazione. La gamma cromatica della tavolozza si rinnova in questo periodo, lasciando spazio a nuove tonalità di verde più o meno acceso, colore protagonista dei paesaggi marocchini raffiguranti la vegetazione locale.

Elemento saldo rimane la concezione della composizione, che vede il dislocarsi delle piante su diversi piani, resi indefiniti dal modo di rappresentare foglie, tronchi e rami sovrapposti tra loro.
 Di ritorno a Parigi quindi, Matisse sazio di quanto imparato e sperimentato in Marocco, piuttosto che continuare a sperimentare un nuovo modo di rappresentare paesaggi, preferisce seguire un’iconografia che da poco si era andata creando tra gli artisti del circolo parigino, improntata sulla rappresentazione dei pesci rossi.

L’iconografia dei pesci rossi in Matisse diventa l’emblema del periodo parigino post marocchino. Egli sperimenterà nel corso del 1912 ed oltre, nel suo atelier di Issy les Moulineaux, un nuovo modo di rappresentare gli spazi, dipingendo nature morte i cui interni interni presentano pesci rossi in bocce di vetro, piante o vasi di fiori e all’occorrenza sculture.

Nella tela Pesci rossi e scultura, la luce del vaso vitreo cilindrico, è resa in maniera innaturale attraverso tre strisce bianche verticali sfumate di vermiglione, il colore dei pesci. L’imboccatura del vaso, è chiaramente parallela al pelo d’acqua, a simboleggiare una parvenza di prospettiva, che però non vien più resa nella dislocazione dei pesci e della luce riflessa. La scultura grigia poggiata sul piano rende bene la profondità, creando tridimensionalità, a differenza della bidimensionalità mostrata in altre opere dipinte prima del viaggio in Marocco, come Interno con melanzane. Ancora, confrontando i dipinti pre-marocchini e quelli post-marocchini, è riscontrabile un nuovo modo di comporre nature morte non più utilizzando stoffe decorate, ma cilindri di vetro con pesci rossi e quella vegetazione osservata e studiata in Marocco.

 In Marocco vi torna l'anno seguente, spinto dalle richieste dei suoi committenti russi  Stchukin e Morozov.
Qui, vi ritrova la luce e i caldi colori africani, che danno nuovo impulso al suo senso cromatico e decorativo. Ma a differenza di quanto fatto nel viaggio precedente, il suo interesse si rivolge questa volta, allo studio della figura umana. Il Riffiano in piedi appartiene a questo momento: Matisse lo ritrae in due pose, in piedi e seduto.

Il 21 novembre 1912 scrive alla figlia Marguerite: "Oggi ho iniziato una tela della stessa dimensione di Pesci rossi di Stchukin. E' ritratto un riffano, un tipo di bandito splendido e selvaggio come uno sciacallo. Spero che proceda bene, dato che l'inizio è buono". 
L'intenzione del pittore non è quella di dipingere un tipo esotico in un contesto orientalista, (per quanto questo si rivela un buon esercizio di rinnovo del modo di rappresentare la figura umana), ma quello tendere a creare una figura ieratica, simile a quanto osservato nelle icone bizantine e russe durante il viaggio in Russia del 1911.

Trasforma così il dato reale, che gli serve soltanto come spunto tematico, in un'immagine ieratica, fuori dal tempo, realizzata con colori puri e brillanti, pennellate dense e corpose di matrice fauve e un disegno piatto.
Successivamente, a causa della Prima Guerra Mondiale, anche l'arte di Matisse parve assumere una piega più malinconica, carica di quel dolore che in vario modo coinvolse molti artisti in quel periodo.
Allo scoppio della guerra infatti Matisse cercò di arruolarsi insieme agli amici Camoin e Puy, ma la sua richiesta venne rifiutata e così il pittore si trasferì con la famiglia prima a Tolosa, poi a Collioure, dove ritrovò alcuni amici fauves e conobbe Juan Gris, l'artista madrileno che aveva contribuito con Braque e Picasso alla nascita del Cubismo.

 Questa corrente artistica influenzò non poco Matisse che nel corso della guerra, fu spinto dalla volontà di rinnovare la sua pittura, sperimentare nuove tecniche ed affinare ed approfondire lo studio di soggetti già esaminati in passato, in primis la figura umana. Questi incontri influiscono sulla pittura di quegli anni, che sembra ulteriormente appiattirsi in forme sempre più geometriche e sintetiche, come dimostra Testa bianca e rosa, un ritratto della figlia Marguerite, sintetico, quasi astratto, dipinto a Parigi nello studio di Quai Saint-Michel nell'autunno 1914, in cui assieme al rosa, colore predominante è il nero, colore che da qualche tempo compare nella tavolozza dell’artista. 

Gli anni della guerra furono anni particolarmente tristi per Matisse, che sentiva addosso il peso di non aver potuto partecipare attivamente alla guerra combattendo al fronte. Lontano dalla famiglia, dopo un attento studio ed un interessamento al cubismo di Juan Gris e Pablo Picasso, che si tramutò nella creazione di opere più o meno schematiche in cui prevale la geometrizzazione delle forme e l' uso di colori più scuri dominati dal verde, dal grigio e dal nero talmente carico al punto che, paradossalmente conferisce alle tele una particolare luce vibrante, il pittore si dedicò alla stesura di opere che avevano per soggetto Lorette, la modella italiana con cui intraprese una collaborazione artistica a partire dal 1916.

Egli, che fino ad allora aveva ritratto nelle sue tele quasi sempre sua moglie Amelie e sua figlia Marguerite, poiché riscontrava in loro quell’affetto e quel feeling che gli permetteva di poter dipingere in armonia e senza turbamenti, iniziò a considerare Lorette la sua musa ispiratrice.

L’incontro con Lorette si rivelò per l’artista decisamente positivo. Matisse infatti, durante gli anni della guerra vive un periodo di grande smarrimento: è alla spasmodica ricerca di sé stesso e quindi di un nuovo stile e di una nuova personalità: il fauvismo da lui inventato, il cubismo a cui si era avvicinato e che aveva sperimentato, la passione per Van Gogh, sono momenti nei quali ormai non si riconosce più. Vuole ritornare all’ordine ma non trova la via e il modo né il modello di ordine. E quindi è proprio in questi mesi di grandi turbamenti, che tra la modella italiana e quello che è già considerato un grande artista di fama europea inizia un rapporto di lavoro incerto e perfino traumatico, ma che pian piano, raggiunge e consegue livelli di armonizzazione e di compenetrazione così profondi e determinanti.

Ed infatti man mano che i mesi passano il cromatismo fragoroso e violento del periodo fauve e le vecchie interpretazioni cubiste e impressioniste lasciano lo spazio a quelle nuove impostazioni dolci e armoniose, che diverranno poi la personalità e l’arte di Matisse negli anni a seguire: la cultura degli interni, la idealizzazione della figura della donna, il cromatismo ricco e splendente dal quale le figure e le nature morte scaturiscono come scolpite, vario e sempre cangiante, la luce e la luminosità.

Al biennio 1915-1917 è riconducibile lo studio dell’iconografia delle odalische e delle figure marocchine. Matisse che vive i drammi della guerra, riprende a raffigurare ciò che egli aveva osservato anni prima in Marocco, quasi al fine di voler trasferire i ricordi positivi di una terra tanto amata e di colori vissuti sulla pelle nella quotidianità dilaniata dalla guerra. Ancora vivo è il ricordo della cultura marocchina, talmente vivo che egli rappresenta momenti di quotidianità dei marocchini, come in I marocchini del 1915-16, tela in cui il pittore procede attraverso i contrasti di colori scuri, nero in testa, e colori chiari.

Al 1917, poco prima della sua partenza per Nizza, è ascrivibile il rinnovato interesse per il paesaggio. La tela in cui viene trasportato un nuovo modo di rendere la luminosità del paesaggio raffigurato è Colpo di sole. Lo studio della luminosità trova una svolta in questo dipinto. Matisse, che fino ad allora aveva sperimentato un nuovo modo di dipingere, avvicinandosi di molto al cubismo seppur mai prendendone parte e avendo analizzato in passato il divisionismo ed il postimpressionismo a contatto con Signac, arriva ora alla tesi per cui non è possibile conciliare l’impressionismo, in cui è analizzata la resa della luce, ed il cubismo, senza ricadere nell’astrazione completa. La via giusta per una resa ottimale della luce è perseguire la tradizione luminista di Jean Baptiste Camille Corot. Testimonianza del perseguimento di questa via è anche L’albero presso il laghetto di Trivaux

Il dipinto, un olio su tela opera di Henri Matisse, raffigura un paesaggio lagunare, nello specifico un albero che si affaccia sul laghetto Trivaux, situato nel parco Bois de Meudon, a circa due miglia dalla casa di Matisse sulla Route de Clamart.  Questo lavoro viene ricondotto ad un arco di tempo che va dagli ultimi mesi del 1916 alla prima metà del 1917, periodo in cui il pittore riprende l’interesse per il tema del paesaggio.

La composizione del paesaggio si svolge su più piani indefiniti tra loro. Sul lato destro della tela si erge il tronco dell’albero, che non trova il suo basamento nel terreno ma vede nascoste le radici da un cespuglio in primo piano. Interessante è notare il gioco di contrasto tra il tronco, (che svetta imponente per poi dividersi in diversi rami sinuosi), che presenta diverse gradazioni di marrone e il resto del quadro, che presenta tonalità di verdi nel fogliame che cade fluente dai rami, di grigi che rendono l’effetto di una luce soffusa e nebbiosa e di azzurri, tutte cromie derivanti dal suo periodo marocchino. Non è facile decifrare il distacco tra la vegetazione e il laghetto, perché quasi la flora si confonde in esso.

 Henri Matisse,  Albero presso il laghetto Trivaux, 1916-17, Tate Gallery, New York.



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